isabella luconi
isabella luconi

 

IL SISTEMA ASSISTENZIALE

(lezione di Isabella in corso di formazione politica)

 

LE POLITICHE SOCIALI IN EUROPA

La situazione assistenziale della Francia:
prima del processo rivoluzionario, era caratterizzata da una impostazione
fondamentalmente elemosinaria, e gestita esclusivamente dal potere
ecclesiastico, è con la rivoluzione che nasce, una forma di stato nazionale
assistenziale, l’idea di fondo è che l’intervento nei confronti delle classi
emarginate sia un preciso strumento di controllo sociale, in questo senso viene creato il BUREAU DE BIENFAINSANCE, una sorta di ufficio di assistenza, attraverso questo ufficio lo stato prendeva in carico malati e mendicanti, procurava di fornire un lavoro ai disoccupati, e cercava di agire per un miglioramento della qualità della vita delle classi subalterne.

Su queste basi, venne predisposto nel 1811 un unico centro erogatore di interventi assistenziali “L’Assistenze Pubblique”, direttamente dipendente dal ministero degli interni, e che era il continuatore del Bureau.

Ma il principio dell’egualitè era veramente condiviso? Già nel 1840 Tocqueville pronunciava una severa critica ufficiale contro lo stato assistenziale francese, denunciando già da allora i costi e le storture di un sistema burocratico amministrativo molto costoso.

In questo contesto maturò l’analisi marxista della società borghese, e il principio marxiano ad “ognuno secondo il suo bisogno” principio che potrà realizzarsi secondo Marx solo attraverso la collettivizzazione dei mezzi di produzione.

La nascita della previdenza sociale in Europa, possiamo datarla 1880/1890, decennio caratterizzato da significativi cambiamenti nel settore assistenziale: nella Germania di Bismark vengono avviate leggi di assicurazione
obbligatoria contro le malattie, contro gli infortuni nel lavoro, e l’assicurazione di invalidità e vecchiaia è l’inizio di una legislazione di previdenza sociale

 

LA SITUAZIONE ITALIANA

Nel nostro paese nella prima meta dell’ottocento, oltre ad un processo di unificazione in forte ritardo rispetto agli altri paese europei, era fortemente presente una struttura economica di tipo feudale, con una forte concentrazione del latifondo e un massiccio impiego di donne e fanciulle nelle manifatture. Tutto ciò aveva prodotto una endemico fenomeno di disoccupazione e di pauperismo.

Nel 1890 viene avviato un provvedimento legislativo che informerà l’impostazione del sistema assistenziale italiano, fino ai giorni nostri: si tratta della legge 17 luglio 1890 n° 6972, delle istituzioni pubbliche di beneficenza detta comunemente Legge Crispi, il concetto di assistenza è associato al concetto di beneficenza.

L’ideologia fascista segna in modo specifico l’impostazione della sanità, della assistenza e della previdenza:

Assistenza sanitaria.

Viene creato il sistema mutualistico, in celere successione prendono corpo numerosi enti ad impostazione eminentemente corporativa.

Assistenza sociale

1925: viene istituita l’opera nazionale maternità ed infanzia, con il compito di erogare interventi di protezione e assistenza alle gestanti e alle madri bisognose o abbandonate, ai bambini lattanti o divezzati fino a 5 anni.

1927 vengono istituiti gli I.P.M istituti provinciali maternità ed infanzia, con il compito di sussidiare le ragazze madri, e mantenere i fanciulli illegittimi nei brefotrofi

1934 vengono istituiti gli assegni familiari

1937 vengono soppresse le Congregazioni di
carità e istituiti gli Eca: è prevista una addizionale applicata sulla maggior
parte dei tributi statali, provinciali e comunali, è un obbligo sancito per
legge in base al quale ogni cittadino deve contribuire in misura dei propri
averi al “ soccorso dei poveri “

1941 viene creato l’Enaoli, finanziato dal ministero del lavoro.

L’organizzazione nazionale Balilla ha il controllo di tutti gli interventi sulle
nuove generazioni compreso il pagamento di rette di ricovero.

Viene introdotta nelle fabbriche la figura dell’assistente sociale (la prima scuola di servizio sociale nasce in Italia durante il fascismo)

 

Previdenza

1923 si riuniscono in un testo unico le normative riguardanti invalidità, vecchiaia disoccupazione maternità, si procede alla unificazione delle tessere assicurative e del sistema contributivo presso un unico ente

1927 viene istituita la assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi

1933 creazione dell’istituto nazionale fascista assicurazione infortuni sul lavoro, che fu all’origine dell’attuale INAIL

1935 riordino della legislazione infortunistica

1935 creazione dell’istituto nazionale fascista di previdenza sociale che è il
precursore dll’attuale INPS,

Negli anni 1935- 1939 nuova normativa di riordino del sistema previdenziale che contiene tra l’altro l’istituzioni delle pensioni di reversibilità per le vedove e gli orfani degli assicurati, diritto alla pensione stabilito per gli uomini ai 60 anni e per le donne ai 55 anni 1943 istituzione dell’ente per la mutualità
fascista che è all’origine dell’attuale Inam.

 

IL WELFARE STATE

DEFINIZIONE:
“è quella forma di Stato che garantisce in linea di principio a tutti i cittadini in quanto tali il godimento di una serie di diritti, non solo civili e politici, ma anche sociali, questi ultimi consistenti in un pacchetto di risorse necessarie per far fronte ai bisogni vitali, a prescindere dal contributo produttivo del singolo individuo alla collettività

GLI ANNI 50/60

I principi contenuti nella Costituzione facevano presumere, una immediata riconsiderazione delle politiche sociali nel nostro paese. Ciò che invece si è verificato è stato un rafforzamento del concetto di Stato assistenziale.

Sono gli anni del cosi detto boom economico, la elasticità del mercato della forza lavoro, favorito dal flusso migratorio, la espansione del mercato interno, la positiva congiuntura economica che aveva consentito la espansione del mercato estero, aveva portato ad un aumento del 47% del reddito nazionale lordo. E’ in questo periodo che si espande la categorizzazione degli interventi in campo assistenziale, sanitario previdenziale, con la creazione a fianco di quelli esistenti di una miriade di altri Enti, associazioni opere benefiche, e una tutela mutualistica per ogni soggetto e categoria.

L’unico momento innovativo sembra coincidere con la nascita nel 1958 del Ministero della Sanità.

Gli anni 60 segnano un primo momento di svolta, il sindacato messo in ombra negli anni precedenti giocherà un ruolo cruciale nella riforma del sistema pensionistico, contemporaneamente comincia a perdere colpi il motore dello
sviluppo economico.

La riforma del sistema pensionistico è del 1969 e porta in se una posizione maggioritaria del sindacato nella gestione dell’Inps. Viene creata la pensione sociale per gli ultra sessantacinquenni, e viene introdotto un nuovo regime per la pensione di invalidità che acquisterà sempre più le sembianze di un equivalente funzionale del sussidio di disoccupazione per le zone maggiormente arretrate del paese.

Nel sistema sociale italiano le pensioni adempiono sempre più ad una pluralità di funzioni che travalicano la loro finalità originaria e suppliscono la carenza di politiche nazionali di riequilibrio dei redditi. Parlare di invalidità e non di disoccupati, consentire cumuli indiscriminati fra pensioni e redditi da lavoro o integrare alcune pensioni fino al raggiungimento di determinate soglie senza riguardo alle condizioni economiche complessive del beneficiario sono tutte strategie che consentono di mascherare altri fenomeni sociali e di mantenere il consenso attraverso il potere esercitato con la concessione di questi benefici, si crea e si rafforza la distribuzione clientelare delle risorse.

GLI ANNI 70

In questi anni il sistema italiano di W.S, tramite l’estensione del sistema mutualistico, ha raggiunto l’obiettivo della copertura assistenziale per tutti i cittadini.

Nel biennio 1971/72 si verifica un aumento della spesa pubblica assolutamente fuori dalla norma. E’ un decennio di forti innovazioni, e di una intensa produzione di leggi nel campo sociale. Tutti i settori ne sono interessati dal mercato del lavoro, alla edilizia (equo canone) la creazione degli asili nido e dei consultori.

Nel 1978 vi è un progetto governativo di riforma delle pensioni, che incontrò però formidabili resistenze. Ora come allora nel mercato politico italiano le
pensioni costituiscono, una risorsa estremamente importante in grado di
attivare rapidamente gradi elevati di consenso o di dissenso.

GLI ANNI 80 e 90

Gli anni 80 hanno segnato la crisi del vecchio stato sociale edificato nel dopoguerra in Italia, definitivamente messo in discussione, nei primi anni 90, con un conseguente ripensamento di modelli, di strategie e di orientamenti di politica sociale, tale crisi era già stata  esplicitata nell’Occidente Europeo gia nella prima metà degli anni 70.

Molti autori ipotizzano la presenza di due grandi schieramenti che si contrappongono sulla base di differenti sistemi di valori e di filosofie ispiratrici: da una parte quello che possiamo definire il partito del mercato dall’altra quello della cittadinanza.

A)  IL PARTITO DEL MERCATO

Di questo fanno parte quelli che ritengono che a partire dalla crisi fiscale ci si debba orientare verso una riduzione del raggio di intervento delle politiche pubbliche, aprendo ampi spazi di mercato ad organizzazioni imprese e associazioni il c.d. W. Market, in questo contesto verrebbe riservato un ampio spazio ai soggetti dell’azione volontaria e del terzo settore, chiamati a far fronte a domande sociali emergenziali e di difficile risposta secondo un principio delegante di funzioni, la prospettiva è di un modello residuale di Welfare e di una americanizzazione della società nazionale, mentre il privato si caratterizzerebbe come l’unico luogo in cui possono albergare efficienza ed efficacia.

B)  IL PARTITO DELLA CITTADINANZA

Di questo fanno invece parte coloro chepropendono per la progettazione di nuove forme di intervento a partire dai profondi cambiamenti di scenario avvenuti sotto il profilo sociale, culturale demografico economico e strutturale.

Il futuro sistema di welfare dovrebbe prevedere una offerta universalistica di
prestazioni ritenute fondamentali, interventi mirati e finalizzati al raggiungimento della così detta eguaglianza delle opportunità.

 

LE CAUSE DELLA CRISI

Una, ma non l’unica fra le cause della crisi del W.S è il venir meno, a partire dagli anni 70 delle premesse socio economiche e politico istituzionali, sulle quali si basava il welfare state edificato negli anni 50 e 60, anni in cui si pensava di finanziare a tempo indeterminato ambiziosi programmi di spesa sociale.

Sempre negli anni 70, la crisi del modello fordista e la transazione che si è accelerata negli anni 80 ad una società post industriale, hanno avuto ripercussioni in termini di stratificazione sociale, di organizzazione del lavoro e di occupazione, con una crescita di flessibilità e di precarietà di ampi segmenti del mercato del lavoro. Nel quadro delle politiche sociali, tale passaggio alla società post industriale, insieme ad una denormativizzazione della società, comporta una frammentazione e una pluralizzazione degli attori sociali con una conseguente necessità di ampliamento delle finalità della politica sociale e cioè verso un miglioramento della qualità della vita.

Anche la struttura demografica subisce una profonda trasformazione, l’aumento della tendenza all’invecchiamento della popolazione, dovuta sia al declinio della fertilità sia all’aumento della speranza di vita, comporta una crescente richiesta di servizi destinati alla popolazione anziana alla quale corrisponde una insufficiente quota di contribuzioni da parte della popolazione attiva.

Un ulteriore squilibrio della struttura demografica è connesso al fenomeno immigratorio, e alle più grandi migrazioni internazionali in Europa.

L’ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro, ha ridotto le capacità welfaristiche della famiglia riversando sul settore pubblico numerose domande sociali, la famiglia risulta oggi profondamente modificata nella sua struttura.

La crisi del W.S non può essere ricondotta soltanto alle variabili economiche, quanto a contraddizioni dovute a fattori di natura strutturale, e per dirla con Donati, il W.S genera da se la sua stessa crisi in relativa autonomia rispetto alle condizioni di mercato, la sua crisi è dovuta a meccanismi interni destabilizzanti ben più complessi che fanno capo alla compenetrazione fra pubblico e privato, la contraddizione di fondo è data dalla incompatibilità tra la crescita dei desideri privati e la capacità pubblica di farvi fronte, e nasce anche da una caratteristica che è intrinseca alle nostre società complesse : la loro perdita di normatività.

 

LE TENDENZE ATTUALI

E’ ormai evidente che il modello classico di Welfare State non è più sufficiente a recepire le nuove istanze, in quanto troppo centralizzato e troppo normativo e alla luce di ciò possiamo sicuramente affermare che sono emersi due grandi linee direttrice:

1)  le politiche sociali devono essere definite in termini più generali di quelle
pubbliche, prendendo cioè atto che esse consistono di ogni e qualunque azione collettiva volta a migliorare il benessere fisico psichico economico di un gruppo sociale di una comunità o dell’intera società

2)    Le politiche sociali devono essere differenziate in rapporto ad un insieme più complesso di variabili. Ci sono infatti quelle attuate dalle burocrazie pubbliche e quelle gestite da altri soggetti, ci sono quelle che hanno obiettivi materiali e quelle che rispondono ad altri bisogni e così via.

Queste due ri-definizioni delle politiche sociali, trovano una precisa concretizzazione nelle linee strategiche, elaborate nella Conferenza dei Ministri Europei responsabili degli affari sociali (1987) queste linee strategiche sono fondamentalmente tre:

1) La pluralizzazione degli attori portatori delle politiche sociali.

Le nuove parole chiave sono:

a) decentralizzazione:

cioè delegare l’autorità ai poteri locali, in modo che i cittadini abbiano più potere direttosulle decisioni e le istituzioni e i servizi siano gestiti in maniera più trasparente. Ovviamente il trasferimento di autorità non può prescindere dal trasferimento di risorse economiche e nello stesso tempo devono essere previsti controlli centrali affinché non emergano ingiustificate disuguaglianze nella qualità e quantità delle prestazioni erogate da località a località.

b) Partecipazione e sviluppo di organismi a difesa dei cittadini.

Le istituzioni devono prevedere la presenza di rappresentanti dei     cittadini, per garantire la effettiva partecipazione di tutti i cittadini.

c) Rafforzamento delle organizzazioni intermedie

     Non più quindi concertazione delle politiche sociali fra sindacati ed 
imprenditori con la mediazione del potere politico, ma insieme ai nuovi corpi sociali intermedi.

Questo non significa che lo Stato debba giocare un ruolo minore e decrescente, è invece vero il contrario, lo Stato deve solo abbandonare l’idea di poter gestire tutti o la gran parte dei servizi, per concentrarsi invece sulla formulazione delle garanzie e sulla regolazione delle interazioni fra gli attori

2) Il ruolo della famiglia come soggetto di servizi primari di vita quotidiana

E’ intorno agli anni ’80 che le politiche familiari sono ridiventate importanti nell’agenda delle politiche di benessere della comunità degli Stati Europei, con una netta distinzione rispetto alle politiche nordamericane, che vedono la famiglia come un soggetto totalmente privatizzato, mentre si può dire che in Europa la famiglia resta almeno nella coscienza della nostra cultura un interlocutore privilegiato dello stato e quindi un soggetto politicamente rilevante

Nel rapporto finale dell’incontro di Varsavia fra i ministri europei responsabili
per gli affari sociali si conclude:

Le politiche sociali dovrebbero avere come obiettivo la protezione e il rafforzamento della vita familiare e il mantenimento dei legami familiari, considerando gli specifici bisogni dei differenti membri della famiglia.

3) La riorganizzazione dei servizi sociali personali

E’ il tema del “time to care “ ossia del tempo da dedicare alle cure dei più
deboli nella comunità e da parte della comunità. Esso diventa fondamentale non solo a causa delle ristrettezze finanziarie dello Stato, ma soprattutto come
modo di produrre servizi più umani ed efficaci orientati alla prevenzione, alla
riabilitazione alla re-integrazione sociale delle persone socialmente deboli.

Queste tendenze prese tutte e tre assieme dimostrano che le politiche sociali hanno intrapreso la strada di un nuovo disegno, il quale ha come principali punti guida i seguenti:

-limitare i meccanismi macrostrutturali ad alcuni obiettivi generali fondamentali: redistribuzione per via fiscale, controllo della disoccupazione, legislazione sui diritti sociali

-sviluppare le politiche sociali come interventi dal basso attraverso la
responsabilizzazione dei cittadini utenti, la promozione di iniziative
solidaristiche, la costruzione di una complessa rete mista di azioni per il
benessere

-ripensare le politiche sociali come linkage fra micro e macro ossia come modo attraverso cui la società riflette su come integrare il luogo della vita quotidiana con le dinamiche più generali di partecipazione alla vita sociale economica culturale e politica della società nel suo complesso

Tutto ciò significa ripensare l’idea di una politica sociale integrata e
sinergica.

Quando parliamo di integrazione sociale che deve essere realizzata dalle politiche sociali non si intende quella del mercato o quella dello Stato, ma la creazione di opportunità per la partecipazione dei cittadini alla definizione,
implementazione, valutazione e riformulazione della politica sociale in maniera
autonoma dinamica e processuale.

Ma cosa significa solidarietà decentrata e partecipata? Significa che lo stato
sociale, e in generale le politiche sociali, devono avere come meta e criterio
di azione, il fatto che gli stessi destinatari degli interventi di welfare trovino in tali misure il mezzo per produrre piu’ solidarietà autonoma entro di essi e un accrescimento, delle responsabilità rispetto alla loro gestione e alla loro utilità.

L’integrazione delle politiche sociali inizia allorché si prende coscienza che molto spesso le misure di benessere hanno effetti inattesi e non intenzionali. Per esempio è noto che il welfare state si autosconfigge perché anzichè produrre solidarietà produce individualismo, lo Stato deve invece tornare ad un ethos morale.

Bisogna quindi ripartire dalla comunità locale, tema questo molto caro alla parte giovanile del nostro partito.

Ma cosa significa ripartire dalla comunità:

in primo luogo significa che non ci si dovrebbe solo chiedere che cosa lo Stato
può fare per la famiglia, ma anche come la famiglia può costruire nella e
attraverso la comunità la propria rete di sicurezza sociale. E’ su questa base
che diventa possibile un’azione collettiva integrata in modo non formale,
burocratico o autoritario. Anziché dipendere da uno Stato passivizzante e
assistenziale è possibile costruire organizzazioni di caring society, in
secondo luogo l’espressione significa che le politiche sociali dovrebbero
essere inizialmente formulate dal basso, seguire un processo di riflessione e
concertazione decisionale verso l’alto, essere tradotte in leggi e quindi
essere implementate e valutate nei loro esisti a livello delle comunità locali

L’idea base è che la cura dei problemi sociali deve essere fondata sulla comunità come contesto il piu’ possibile autonomo nella gestione di tali problemi, e lo Stato deve assumere il ruolo di ordinatore generale per garantire che la comunità e le associazioni intermedie non diventino strumento di disuguaglianza sociale e di clientelismo.

 

Liberamente tratto da:*Pierpaolo Donati “teoria relazionale della società ed. Franco Angeli 1998

   

 

LE PAROLE CHIAVE

 

L’ASCOLTO AFFETTIVO

Per riempire di qualità una relazione, l’ascolto seppure empatico, non è
sufficiente, bisogna imparare ad ascoltare con il cuore, capire ciò che l’altro ci sta comunicando, perché l’altro non è un utente ma un essere umano, e quando non è possibile capire dobbiamo essere capaci di comunicargli il nostro ascolto affettivo.

Questo significa imparare nell’ascolto a non fare uso di
altri modelli teorici, perché essi rappresentano un metodo di lavoro, e come tali vanno usati, mentre i riferimenti per questo ascolto affettivo sono inostri principi, primo fra tutti il rispetto dell’essere umano, ma quale rispetto potrebbe esserci, se il primo pensiero è quello di aiutarlo arisolvere il suo problema, e cioè per fare un esempio, mentre parla ragionare mentalmente se riferirci al modello centrato sul compito o cercare di mettere ordine nella sua
confusione con un procedimento di problem-solving, questa è una TECNICA successiva, quello che è importante è ascoltare e accettare quello che l’utente dice, solo così potrà nascere un legame fra due persone , una delle quali in quel momento è seduta dall’altra parte del tavolo, ma che nulla toglie al fatto che di fronte si trovano due spiritualità che entrano in sintonia .

Solo il Servizio Sociale può avere questo tipo di riferimento, perché ha poi gli strumenti metodologici e scientifici per poter affermare di essere una professione di aiuto, dove l’aiuto è uno scambio reciproco nell’assoluta convinzione ed umiltà che nessun altro essere umano può sapere che cosa è meglio per un altro essere umano, ma sicuramente tutti noi sappiamo cosa vuol dire entrare in relazione e costruire una relazione di qualità che rappresenti sempre e comunque un momento positivo nella nostra esistenza.

               CRESCITA ETICA

Crescere in questo senso significa arrivare ad avere la consapevolezza di una coscienza di se ma anche la consapevolezza che esiste una coscienza degli altri. E’ un momento successivo all’ascolto affettivo, che nasce dalla relazione che si è venuta a creare, è attraverso questa che potrà nascere il coinvolgimento e la partecipazione nei progetti che riguardano il mondo altro, ed è questo il contributo che il servizio sociale può dare al lavoro di rete, senza il quale lo stesso, rischia di diventare solo un percorso grafico di collegamento fra reticoli.

IL DOVERE DELL’ALTRO DI FARMI ESISTERE

Fra questi altri ci sono anche gli operatori, gli amministratori, i responsabili di governo, ma non è nella delega che si può ottenere la giustizia sociale e le pari opportunità per gli esseri umani, se questo dovere non viene rispettato il mio diritto di esistere è un diritto che posso far rispettare assumendomi in primis il dovere di far esistere i diritti degli altri. Questo significa non ragionare più in termini individualistici ma in termini di comunità: è in questa e solo in questa che possiamo agire perchè ci sia condivisione dei diritti ma anche dei doveri.

Il ruolo del servizio sociale è in questa dimensione fondamentale ed unico, e per usare nuovamente una espressione alla quale si è fatto un riferimento continuo in questa esposizione, ma che è alla base dei nostri convincimenti è che GLI ESPERTI DEL SOCIALE SIAMO NOI, ed è facendo sempre riferimento ai nostri principi che possiamo scongiurare il pericolo di una delega totale alle istituzione per arrivare ad una presa in carico da parte della comunità dei suoi
componenti.

LA DIMENSIONE DEL NOI

Ladimensione del noi è la dimensione di una comunità aperta con i suoi valori la sua specificità , la sua cultura, questi però non possono essere imposti e avere come conseguenza l’allontanamento e la emarginazione di chi non li condivide o di chi si trova in una situazione di bisogno sia esso dovuto a fattori economici sia esso dovuto a fattori di salute e/o di età, sarà solo attraverso la solidarietà e la sussidiarietà ma anche con l‘amore e l’amicizia che si potrà arrivare ad affermare il primato della dimensione spirituale su quella materiale

Tutto ciò per sottolineare che se il XX secolo si è concluso con l’esaltazione del primato della razionalizzazione, dell’homo sapiens, del progresso, il XXI si
sta aprendo con nuove richieste.

Quello che stiamo vivendo sembra essere un secolo più alla ricerca di una
simbiosofia intesa come saggezza del vivere insieme, un secolo dove sta
nascendo pur con molte difficoltà e grandi insuccessi l’Antropoietica, intesa come coscienza individuale che va oltre l’individualità.

E’ un secolo che sta scoprendo o meglio riscoprendo l’unità e la dualità dell’essere umano, un uomo cioè che è insieme homo sapiens ma è anche homo demens, l’uomo dei miti, degli ideali, della poesia, dell’estasi, e dell’amore.

 

LA VIOLENZA IN FAMIGLIA

 

Picchia tua moglie ogni sera: tu non sai
perché lo fai, ma lei lo sa
              
Proverbio Cinese

 

La donna è come la chitarra, prima la si suona e poi la
si appende al chiodo
                                           
Proverbio Toscano

 

DEFINIZIONE DI VIOLENZA

I proverbi, nascono per definizione dalla cultura e dalla tradizione popolare che si tramanda nei secoli.

La violenza di genere, ossia la violenza degli uomini contro le donne e contro le bambine, è stata invisibile fino a tempi molto recenti, non perché fosse tenuta nascosta, ma perché era talmente connaturata con la tradizione, i valori dominanti e le leggi da passare inosservata, quasi fosse un elemento naturale, in quanto agita all’interno di un sistema patriarcale di dominazione degli uomini sulle donne e sui bambini. 

DATI

Per fare un esempio, in un paese considerato fra i più avanzati, come la
Svezia, dalle statistiche ufficiali della polizia nel 1989, risultava che ogni giorno vengono picchiate 39 donne, e ogni dieci giorni una donna è uccisa da un uomo che conosce. Oppure la liberalissima America dove i maltrattamenti per mano maschile rappresentano la principale causa di morte delle giovani donne.

Altri dati a livello mondiale confermano lo scenario di subordinazione culturale e politica delle donne:

Le donne svolgono fra i 2/3 e i 3/4 del lavoro nel mondo, producono la metà delle risorse alimentari, ma ricevono solo il 10% del reddito mondiale e possiedono solo l’1% dei beni.

In Francia e in Belgio le donne hanno ottenuto la possibilità di votare solo dopo la seconda guerra mondiale, in Svizzera votano solo dal 1971 e in Italia solo dopo il 1963 hanno avuto accesso a tutti i pubblici uffici.

 

TERMINOLOGIA

Addirittura non esisteva neanche la terminologia per definire le diverse violenze che le donne subivano e i termine che oggi usiamo sono relativamente recenti.

E’ stato addirittura necessario coniarne uno nuovo e cioè il FEMMICIDIO, questo termine indica i casi di donne uccise da uomini esclusivamente perché donne, e con questo non vogliamo solo portare ad esempio il fatto avvenuto nel 1989 a Montreal in Canada, dove un uomo è penetrato armato nella facoltà di ingegneria, ha separato le ragazze dai ragazzi, e ha ucciso 14 studentesse sostenendo che le “maledette femministe“ gli avevano rovinato la vita, ma anche la eliminazione degli embrioni e dei feti in quei paesi dove solo la nascita di un maschietto e socialmente valorizzata.

 

FENOMENO MONDIALE

La violenza contro le donne è presente in tutte le culture, anche se ovviamente variano le forme e l’intensità con cui è espressa.

In India per esempio, i genitori della futura sposa devono pagare una dote alla
famiglia del marito e spesso nascono dei conflitti sulla entità di questa somma. Se dopo il matrimonio il marito o i suoi familiari pensano di aver ottenuto troppo poco possono decidere di uccidere la donna per poter poi contrarre un altro matrimonio e ottenere un’altra dote: la modalità più comune è quella di dar fuoco alle vesti della sposa e dato che sia in città che in campagna, molte donne cucinano su piccoli fuochi o fornelli ad alcool, questi omicidi non vengono considerati come tali ma mascherati come incidenti domestici.

Sempre in India, è apparsa recentemente un’altra terribile forma di violenza, contro le giovani donne, l’acidificazione: capita cioè che corteggiatori respinti, per punirle dal rifiuto, gettino in faccia alle ragazze dell’acido solforico. Quando sopravvivono le ragazze restano terribilmente deturpate e gravemente menomate – cieche, con naso orecchie e bocca distrutti, le mani accartocciate e inservibili- e rappresentano così un monito visibile per tutte le altre che osassero opporsi, inoltre nella cultura indiana questa violenza assume anche un altro significato particolare, perché si ritiene che chi è malato o deforme abbia commesso qualcosa di vergognoso nella vita precedente. Nel 1997 sono stati denunciati 100 casi nella sola Bangladesch.

 

MA TORNIAMO IN ITALIA

-       Il primo rifugio per donne maltrattate è stato aperto solo nel 1990, e comunque non ci sono ancora risposte adeguate né da un punto di vista istituzionale né da un punto di vista culturale, ed è proprio questo ultimo aspetto che influenza in modo pesante la risposta istituzionale, infatti gli orientamenti interpretativi della violenza contro le donne tendenzialmente dominanti nell’ottica comune e in quella professionale sono due :

-         il primo è quello della colpevolizzazione della vittima:

lo si evince anche dal tipo di domande che gli operatori delle strutture rivolgono alle donne Perché non lo lascia? Cosa ha fatto per provocare la sua aggressione? Il nodo del problema viene quindi spostato alla donna, alla sua personalità, alla sua incapacità di uscire dal rapporto, piuttosto che nel carnefice e nel suo meccanismo coercitivo che egli ha messo in atto.

E’ la donna che deve fermare la violenza e a negoziare la propria incolumità.

Per sottolineare questo messaggio il problema viene parodiato in un avviso alle donne apparso alcuni anni or sono a Londra

-    il secondo è quello che chiama in causa fenomeni psico-sociali, di devianza, emarginazione abbruttimento,E’ particolarmente diffuso nell’ambiente psicoterapeutico, medico e rieducativi. Questo approccio opera una focalizzazione del problema sull’individuo, e solleva il violento dalla responsabilità dei suoi atti concentrandosi sulla sua anormalità giustificata da infermità mentale, alcolismo, infanzia difficile emarginazione sociale
….

 

LA VIOLENZA ECONOMICA

Oltre alla violenza fisica e alla violenza psicologica esiste anche un’altra forma di violenza che è quella economica, nella maggior parte dei casi le donne che subiscono violenze all’interno delle mura domestiche non hanno un lavoro che le permetta di essere autonome e di decidere della propria vita.

E’ uno dei problemi maggiori nell’affrontare un percorso di aiuto. Ma non è solo un problema di denaro ma anche di identità, in quanto : avere una buona immagine di se è di capitale importanza nel rapporto tra i partener, è più difficile umiliare una donna quando il suo ruolo non si limita ad essere quello di una perfetta casalinga e di una buona educatrice e soprattutto quando non è il coniuge a poterne giudicare.
L’umiliazione precede la violenza fisica.

 

LA VIOLENZA DOMESTICA

I maltrattamenti domestici rappresentano un fenomeno trasversale: avvengono in tutti i contesti sociali. Questa trasversalità va ribadita, dato che per molto tempo ci si è cullati con l’idea che la violenza domestica fosse confinata ad ambienti sociali ed umani particolarmente degradati, l’unica differenza è quella che in questi ambienti è più visibile, infatti è più probabile che chiamino la polizia i vicini di casa di un poveraccio in un caseggiato popolare che non i vicini di villa di una zona residenziale.

Un altro aspetto da valutare, e che emerge da numerose ricerche è che la violenza dal partner è più frequente fra i giovani, sembra che i giovani maschi continuino a dare per scontata la loro supremazia, e vivono le esigenze di autonomia e di uguaglianza delle ragazze come una sfida ad una posizione di dominanza, mai veramente messa in discussione a livello sociale. Per gli stessi motivi, non sanno gestire il rapporto con le coetanee per molti versi più capaci e mature di loro.

 

LA VIOLENZA SUI MINORI

I figli sono sempre coinvolti nei maltrattamenti: indirettamente perché assistono alle violenze contro la madre, direttamente perché sono costretti a partecipare o subiscono essi stessi le violenze.

In una sua analisi delle denunce relative a violenza sessuale, la sociologa Laura Terragni riporta numerosi casi di bambine stuprate da familiari e conoscenti: la lettura delle denunce nel loro linguaggio dettagliato ed impersonale provoca un malessere quasi insostenibile.

Le bimbe sono violentate dal negoziante sotto casa, dal vicino del pianerottolo, dall’amico di papà o dal papà stesso, dal compagno della madre, dai fratelli dal nonno. Nessun atto sessuale è risparmiato loro, non sono quelle che arrivate alla pubertà rimangono incinte e fatte abortire.

Allo stupro l’uomo accompagna sempre le ingiunzioni di non dire niente a nessuno e le minacce … nessuno ticrederà..finirai in istituto.

 

LE LORO REAZIONI

La bambina è in uno stato di confusione totale. Un adulto di cui si fidava, a cui magari voleva bene, le fa delle cose che la sconvolgono perché le fanno male, perché sa e intuisce che sono proibite, perché le fanno paura e le fanno schifo, e a volte perché producono una eccitazione sessuale che non capisce, che non controlla. La bambina si sente tradita nella sua fiducia, anche se lotta e resiste si rende conto di essere impotente a difendersi, a fuggire a proteggersi, ha la certezza di essere profondamente diversa dagli altri bambini della sua età di essere marchiata da qualcosa di mostruoso, che gli altri prima o poi finiranno per vedere. Ma qui, e la sua confusione aumenta può anche sentirsi valorizzata dalle attenzioni di un uomo adulto, così finiscono per sentirsi in colpa, per concludere che non valgono nulla, e dato che il violentatore,può dire loro che le ama, che sono preziose, finiscono per convincersi che sono amate proprio perché diverse, scelte proprio perché già marce.

 

MA CHI SONO GLI UOMINI CHE ABUSANO DI BAMBINE E BAMBINI?

Ci piace definirli pedofili, perché ci rassicura: sono dei malati dei diversi, in realtà così come solo una piccola parte degli stupri su donne adulte è compiuta da psicopatici, così solo una  piccola parte delle violenze sessuali sui bambini è compiuta da pedofili.
L’Unicef ha stimato che la tratta di bambini, da utilizzare nel mercato della
prostituzione di adolescenti è tra i commerci illegali il più lucrativo del mondo preceduto solo da quello delle armi e della droga.

Per restare in Italia gli uomini italiani sono stati i più numerosi a praticare il cosiddetto turismo sessuale, che offre a prezzi accessibili adolescenti e bambine, provenienti dalle famiglie povere dei paesi più poveri del mondo. E’ possibile dunque pensare davvero che tutti quegli uomini, che da soli o in gruppo riempiono i charter per il sud del mondo sono dei perversi e dei malati? E che dire delle grandi multinazionali che organizzano viaggi premio nel sudest asiatico per i loro dipendenti più meritevoli. E delle agenzie di viaggio che fioriscono proprio con il turismo sessuale?

Il turismo sessuale lungi dall’essere l’invenzione di un gruppo di perversi rappresenta una strategia economica di stampo internazionale. Sono stati proprio i grandi organismi internazionali come la banca mondiale e il Fondo monetario internazionale che negli anni ’80 hanno promosso il turismo sessuale come strategia di sviluppo dei paesi poveri.

dedicato a Isabella

Questo sito è dedicato alla memoria di Isabella Luconi, nata a Messina il 20 Agosto 1957, morta a Cagliari il 15 Maggio 2012. 

 

Isabella, trasferitasi nel 1972 a Cagliari da Ancona, città di origine della sua famiglia, si è diplomata al liceo Scientifico Pacinotti di Cagliari.

 

Ha conseguito il diploma di Assistente Sociale nel 1990 a Cagliari, la laurea in Scienze Sociali a Trieste nel 2004, e la laurea in Scienze Politiche a Cagliari nel 2011.

 

Ha partecipato a alcuni concorsi letterari, in Sardegna e nella Penisola, classificandosi sempre nelle prime posizioni.

 

Impegnata politicamente dall’età di 14 anni, ha militato nel Fronte della Gioventù, nel M.S.I.-D.N. e in Alleanza Nazionale.

 

E’ stata Assistente Sociale nel Comune di Assemini dal 1992.

Sposata nel 1979 con Roberto Aledda, hanno avuto un figlio, Marco.

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© Roberto Aledda robertoaledda@tiscali.it