isabella luconi
isabella luconi

raccolta degli articoli scritti da Isabella per EXCALIBUR- periodico dell'Associazione Vico San Lucifero, fondato da Isabella con Roberto

 

 

 

Excalibur n. 1 – Marzo 1998

 

… E bravo Fini, 7+

 

Il "7" per la relazione programmatica. Precisa, ineccepibile,tecnicamente corretta. Fredda, come il Partito che rappresenta.
Il "+", per il discorso di replica con il quale l'On. Fini ha demagogicamente recuperato un po' di quel calore che taluni interventi e talune sottolineature di applauso, fra la platea, hanno imposto. E bene hanno fatto a scegliere come simbolo la coccinella, piccolo animaletto, che appare dal nulla, così come questa Destra, moderna, futuristica, senza radici. Peccato che sia un animaletto così piccolo e così senza storia che spesso viene con noncuranza schiacciato, sparendo nel nulla. Non ce ne voglia... coccinella!
Vediamo adesso alcuni passi salienti della relazione di Fini.
Passato
«Oggi tutte le forze politiche si rifanno a princìpi comuni [...]. È una
delle conseguenze della fine delle ideologie [...]. A.N. non è passatista
».
Se negli anni '50 si parlò di miracolo economico, oggi negli anni '90 la Destra di A.N. può vantarsi di aver compiuto un miracolo culturale: in una sola giornata ha spazzato via duemila anni di Storia, ha cancellato la spiritualità, la passione, la
lotta, le sofferenze dell'uomo nel suo cammino verso la civiltà, per farne un
perfetto robot, indifferentemente ambidestro o ambisinistro, visto che oggi tutte le forze politiche «si rifanno a princìpi comuni». Ha seppellito la nostra cultura umanistica per osannare la cultura scientifica così lontana dalle tradizioni dei nostro paese. Ma è chiaro che doveva essere così. L'ideale che rappresenta la  Destra è un valore classico, è l'Uomo, con un'anima che muove da irrecuperabili archetipi antropologici per percorrere la strada verso la conoscenza, verso la cultura e, per molti, verso Dio.
È un uomo che ha le sue radici nel passato e sono queste radici che legittimano
la sua modernità. Il valore di un ideale sta nella sua continuità nel tempo. È universale, e in quanto tale è moderno. Non è relativo, non è pragmatico, non è contingente al momento storico. Non può, On. Fini, compiere una aberrazione culturale di questo tipo. Lei sta parlando della Destra che non c'è, della Sua Destra, che forse non è quella che vive nel cuore degli uomini e delle donne di Destra.
Economia
Continuando sul filone «nulla è prima di me». È bene ricordare che partecipazione
vuol dire socializzazione. E se anche Lei i conti con il passato li ha  chiusi, non si può copiare il compito dal compagno di banco per prendere un bel voto: la vita insegna che prima o poi si viene scoperti. E poi poteva anche dire qualche cattiveria in più sul ruolo dei sindacato in Italia, glielo avremmo perdonato, anzi l'avremmo applaudito. E non sottolinei per favore che A.N. «chiede coraggiosamente 'eliminazione di ogni vincolo di licenziamento»... lo sta già facendo un governo di sinistra.
Piuttosto, avrei voluto trovare una progettazione basata sulle pari opportunità
e sui pari diritti per tutti, base comune da dove partire perché venga premiata
la meritocrazia. Mi sembra di ricordare che fosse uno dei princìpi della Destra: che mi fossi in tanti anni sbagliata?
Questione sociale
Discorso un po' timido, di chi non si sente forse ancora legittimato dalla sinistra a poter parlare di solidarietà. Termine logorato dalla cultura catto-comunista (o solo "catto", visto che il comunismo non esiste più) che ha le sue basi ideologiche nell'assioma: «siamo tutti uguali». Non ho trovato invece nella Sua relazione, On. Fini, l'esatto contrario: «non siamo tutti uguali». Ma la diversità deve essere motivo di inclusione e non di esclusione.
Mi sembrava di ricordare che fosse anche questo uno dei motivi che differenziavano la Destra dalla Sinistra. Che mi fossi in tanti anni sbagliata? Tanto altro ci sarebbe da dire, ma la conclusione della Sua relazione, On. Fini, mi costringe ad una amara riflessione: Lei dice che «A.N. deve uscire da questa Conferenza come un moderno partito di programma, senza ideologie ma con un preciso progetto». Credevo che da Platone in poi, la Destra fosse la culla di coloro che credono nelle loro ideologie, intese come complessi di princìpi da cui nascono gli ideali. Che mi fossi, in tanti anni sbagliata?

«Al gregge
obbediente, rassegnato, idiota, che segue il pastore e si sbanda al primo grido
dei lupi, noi preferiamo il piccolo nucleo risoluto, audace, che ha dato una
ragione alla propria fede, sa quello che vuole e marcia direttamente allo scopo
»

Benito Mussolini da "La lotta di classe" del 12 febbraio 1910

 

Excalibur n. 2 - Aprile 1998

 Io sono anticomunista! 

 

Sento in lontananza le campane della Chiesa che   suonano a morte. Una bara rossa, portata a spalla da grigi antifascisti, procede lentamente, fra uno sventolio di tricolori e bandiere rosse mentre   tutta la sinistra, con un'unica voce grida: «il Comunismo è morto, viva il   Comunismo».
  L'ultimo muro, l'ultimo ostacolo è stato abbattuto, la guerra delle parole è
  vinta. Il corteo procede verso il centro, trova qualche ostacolo, gira a Destra,
  la via è libera, coccinelle e fiori lungo il cammino.
  E inizia l'analisi, pro e contro l'anticomunismo; chi, stratega della
  politica, sostiene che è il primo passo per non parlare più di antifascismo.
  Chi, filosofo o intellettuale, vuole dimostrare che il Comunismo esiste
  ancora ed è più potente di prima.
  Né l'uno né l'altro lasciano il posto al cuore, ed è l'ennesima sconfitta,
  perché parlare di anticomunismo e raccontare delle passioni che hanno animato
  i nostri cuori vuol dire, oggi, essere tacciati di fascismo, e di quello più
  becero e retorico.
  Chi ha fatto dell'anticomunismo una scelta di vita dovrebbe mettere in
  discussione tutti i suoi ideali e tutti i suoi princìpi; chi ha gridato
  all'orrore per quel Cristo negato e abbattuto dai Soviet russi, in
  nome della sola materialità, deve tacere. Chi non ha barattato la parola
  "Patria" con quella di "Nazione", deve tacere.
  Ma io non ho voglia di tacere, non ho voglia di barattare i miei ideali, non
  ho voglia di non ascoltare il cuore.
  lo non ho voglia di sentire che forse domani, se farò da brava, mi si dirà
  che se l'anticomunismo non esiste più, allora non esiste più neanche
  l'antifascismo.
  Non ho voglia di globalizzare tutto, ingrigire tutto, seppellire gli ideali.
  lo ho invece voglia di pensare ancora che esistono due valori contrapposti,
  due scelte di vita, e ho voglia di credere che la mia sia la migliore.
  lo ho voglia di credere che esiste un'anima e non tutto finisce con la
  materia, travolto dal tempo inesorabile che tutto distrugge. lo non voglio
  permettere a una coccinella di privarmi dei mio sogno di uomo.
  lo sono anticomunista, e se questo vuoi dire nel gioco delle parole essere
  fascisti, beh, allora... io sono fascista.

 

 

 

 

EXCALIBUR N. 4 GIUGNO 1998

Dedicato alla "parte sbagliata"
 
Prigionieri di una destra che non c'è

 

Credevo di avere un'anima fascista e avevo quindici   anni. Credevo che il senso della vita fosse chiuso in quella piccola stanza,  e che quella finestra che si affacciava su Vico San Lucifero fosse una inestra sul mondo.
  Credevo che chiamarsi "camerati" significasse condividere la stessa
  fede ed essere uniti da un sentimento che trascende il tempo e la vicinanza.
  Credevo nel senso intimo e profondo di appartenenza ad una civiltà e ad una
  terra che con orgoglio chiamavo Italia.
  Credevo nell'idea suprema di un essere infinito, che ci aveva dato con il
  libero arbitrio la possibilità di scegliere tra il bene e il male.
  Credevo nella famiglia come cellula base e valore fondante di qualsiasi società,nel rispetto delle generazioni passate e nell'educazione di quelle future.
  Credevo nell'onestà come scelta di vita difesa ad ogni costo e non
  relativamente alle circostanze.
  Credevo nel coraggio di affrontare quelle prove che trasformano, nel corsa di
  una esistenza, una persona in un Uomo.
  Credevo che fosse compito dei forti difendere i deboli.
  Credevo che tutti dovessero avere le stesse possibilità e le stesse chances
  per riuscire nella vita, ma che poi dovesse essere premiato solo chi lo
  avesse meritato.
  Credevo che tutto ciò fosse racchiuso in una Fiamma e in un Tricolore.
  E quando nelle piazze, con il braccio teso nel nostro saluto fascista,
  circondati dai compagni e dalla polizia, quando con una sola voce gridavamo «il  comunismo non passerà!», credevo che l'unica dimensione per essere uomini fosse quella di essere uomini di destra.
 I quindici anni sono passati, quella finestra si è chiusa per sempre. Altre
  se ne sono aperte, ma parlano d'altro, di cose che non capisco e non mi
  appartengono:
  - difendono l'individuo ma pensano alla globalizzazione;
  - parlano di programmi e non di ideali;
  - parlano di socializzazione e non hanno il coraggio di dire che è uno
  dei princìpi fondamentali della Carta di Verona;
  - parlano di famiglia ma non si oppongono alla politica comunista che ne ha
  smembrato e sconvolto il senso primario;
  - parlano di nazione e non di Patria, e non si sono opposti all'Europa di
  Maastricht; - si chiamano "amici" e non "camerati";
  - parlano di meritocrazia ma si circondano di persone incapaci.
  Hanno detto che non ha più senso, oggi, essere "anticomunisti" e
  hanno pianto insieme al nemico sulle tombe dei partigiani e dei caduti della
  Repubblica di Salò, e il fiume ipocrita ed opportunista di quelle lacrime ha
  spazzato via le mie illusioni e i miei quindici anni, ma non le mie certezze
  e la mia anima fascista.
  Vorrei riaprire quella finestra sul mondo, quella finestra che non ha età, e
  aspettare sotto l'ombra del tricolore tutti quei camerati che hanno creduto
  in un sogno e che oggi sono prigionieri di una destra che non c'è.

 

 

EXCALIBUR 5 - ottobre 1998

 

Quell'appendice in più... che fa la differenza...

 

Non è certamente simpatico parlare in prima persona,  quando non si è né famosi né importanti, anzi si rischia di annoiare chi   legge, con ricordi personali e quasi mai condivisibili, ma poiché descrivere   cosa significhi essere donne di Destra non è un concetto generalizzabile, è   giocoforza che questa descrizione sia solo racconto personale, e perciò   scusandomi con chi legge, ricorrerò alla descrizione della mia esperienza   personale, che iniziò negli anni '70, poco più che tredicenne, in una città e   in una regione che non era la    Sardegna, e dove l'organizzazione dell'allora M.S.I. era
  diversa da quella cagliaritana. 
  Là, il Partito e la sua organizzazione giovanile, il Fronte della Gioventù,
  coabitavano nello stesso locale, e quando mi iscrissi al F.d.G. ero convinta
  di essermi iscritta alla sezione giovanile del M.S.I..
  L'effetto dirompente di quella esperienza su una giovane adolescente è ben   immaginabile; mi separava dagli altri militanti una decina di anni, e quel   gruppo così "compatto", così bello, così forte, così tanto   "maschio", rappresentava la sintesi di tutti quegli ideali per i   quali mi ero avvicinata alla Destra. 
  Non mi ponevo, e nessuno mi poneva, il "problema di essere donna",   ma ricordo di aver condiviso, la dove la libertà strappata alla famiglia con   le bugie me lo consentiva, le esperienze di tutti i militanti: volantinaggi,   cortei, manifestazioni, ecc., nei quali avevo sempre intorno "un   quadrato di camerati maschi".
Venni via prima che la realtà potesse infrangere le illusioni, e ancora oggi  non so rispondere se quella protezione appartenesse all'età o al sesso, so  soltanto che mi è rimasto un dolce ricordo di una "maschia giovane destra" pronta a sfidare il mondo e a proteggere chi per sesso o per età non poteva difendersi.

  L'esperienza cagliaritana fu così diversa... prima di tutto la collocazione  del F.d.G., lontana dal Partito e ancora forse, nonostante il nome diverso,  Giovane Italia.  Alla Sede, sicuramente molto maschia e vissuta, ogni tanto timidamente si  affacciava qualche donna, che in breve tempo diventava "la donna di   qualcuno" e "nessuno, come camerata".
  Povere donne, destinate a dover scegliere fra il ruolo di Rachele o quello di Claretta, anche se, forse, qualcuna di noi poteva e voleva aspirare al ruolo di Duce... ma era come avvicinare l'acqua santa al diavolo!   Una donna poteva discutere di problemi femminili, poteva certamente  organizzare qualche riunione su questi, poteva allacciare caschi e curare le ferite, ma essere camerata... via non diciamo eresie... il fascismo è maschio e il merito stà... in quell'appendice in più!
 Iniziò così la mia solitudine, solitudine nel mondo che combattevo e
 solitudine nel mondo che amavo, e così sviluppai un concetto tutto mio di
 cameratismo, proiettando sugli altri i miei sentimenti, preferendo credere
 che per tutti fossi una camerata, come loro lo erano per me.
 Ebbi l'incarico di Fiduciario del F.d.G. al liceo Pacinotti e conquistai con
 l'impegno e con il coraggio un posto al sole nel pianeta maschile della
 Destra cagliaritana. La galera suggellò la promozione a Camerata, e devo
 quindi, per ironia della sorte, ringraziare comunisti e polizia per aver
 avuto il diritto di fare il saluto romano e di chiamarmi camerata.
 Oggi dopo tanti anni l'incontro con i vecchi militanti del Fronte della
 Gioventù; la vita è trascorsa, ci ha cambiati, maturati, siamo sicuramente
 diversi: solo io non sono cambiata... non ho ancora quell'appendice in più... che fa la differenza.

 

EXCALIBUR 5 - ottobre 1998

 

Battisti e il nostro canto libero

 

Avevo appeso le speranze e le illusioni della
  giovinezza sopra una stella, perché il sole della vita non li sciupasse,
  sicura di poterle riprendere quando avessi voluto, e ogni tanto sull'onda di
  qualche Tua vecchia canzone alzavo gli occhi al cielo, verso le stelle, per
  assicurarmi che fossero ancora lì.

  Ora, il tuo canto libero non c'è più e siamo tutti un po' più soli, e sarà
  più difficile andare a raccogliere quei sogni sulle stelle.

  Ma dentro quei sogni c'è qualcosa di più delle emozioni che ci hai regalato,
  c'è il ricordo di quell'essere giovani in un mondo di giovani, dove
  l'obiettivo di tanti era distruggere quelle emozioni, dove non potevi parlare di Amore perché si parlava solo di "amore libero" e della comune
  gestione dei propri corpi, e noi ragazzi di Destra, odiati, emarginati, così
  soli ci perdemmo e ci consolammo dentro la lirica delle Tue canzoni.

  E quando il peso della solitudine sembrava a volte insopportabile, quando
  nessuno più parlava con te perché eri fascista, e quando, fragili per l'età e
  per il cuore troppo giovane, pensavamo che l'ineluttabile destino del mondo  fosse di colorarsi di rosso, invocammo insieme a te «un canto libero»  e per quella libertà molti di noi hanno colorato di rosso con il loro sangue le strade delle città.

  Ora sopra quella stella insieme ai miei sogni e alle Tue canzoni ci sono
  anche Loro e nel ricordo splendono ancora di più a ricordarci l'immortalità
  dell'anima, la superiorità dello spirito, perché dalle ceneri del comunismo
  possa nascere finalmente «un uomo che non abbia paura di guidare a fari
  spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire
».

 

 

 

 

 

  

EXCALIBUR 8 - febbraio 1999

 

Bioetica e ingegneria genetica: un delirio di
  onnipotenza

 

1985: è istituito il centro di Bioetica al Gemelli   di Roma;
  1990: nasce il Comitato Nazionale per la Bioetica;
 1999: la relatrice diessina (leggi ex comunista) Marida Bolognesi porta in
  Parlamento la legge sulla fecondazione artificiale. 251 Parlamentari votano  contro la fecondazione eterologa.
  E nasce il dibattito politico, si conta fra i partiti il numero dei dissidenti
  rispetto alle posizioni ufficiali degli schieramenti di appartenenza, si
  divide il concetto di etica in etica cattolica ed etica laica, riservando
  alla prima una posizione conservatrice ed alla seconda una posizione
  progressista, dimenticando che questo può corrispondere ad una specificità,  ma non ad un concetto universale di etica, che è poi l'insieme dei principi e  dei fini che regolano l'agire umano perché risulti degno di approvazione sia da parte del soggetto agente sia da parte del giudizio degli altri.
  Improvvisamente, un problema che avrebbe dovuto turbare e far riflettere tutte   le coscienze diventa importante perché riflette le dicotomie dei diversi   schieramenti politici, tanto dicotomici da allineare l'allegra Rosi Bindi,   che non ebbe scrupoli in passato a negare la speranza alla vita del Prof. Di   Bella, alle opinioni del Polo.
 Credo che ci sia molto più in discussione, che non l'articolo 4 della
  proposta di legge, ovvero fecondazione eterologa od omologa.
 Si discute il fondamento della società, dei principi e dei valori dell'uomo;
  torna alla ribalta il problema se il primato del sociale sull'individuo
  professato dal marxismo e da tutti quelli che ne hanno raccolto l'eredità,
  sia un principio base su cui modellare i costumi, l'etica, la politica, il
  vivere civile, il concetto di famiglia, di Patria, di libertà.
  O se invece, come noi (di destra?, anticomunisti?, antimarxisti?,
  liberali/liberisti?, cattolici?, fascisti?) crediamo, la persona umana sia il
  valore supremo, abbia una sua dignità e una sua forza coercitiva derivante
  dalla sua stessa struttura personale; in altre parole crediamo che l'essere
  umano è prima del fenomeno sociale
e quello che preoccupa è che il
  principio stesso, nato con l'uomo, e messo in discussione solo in un
  determinato periodo storico (leggi marxismo), possa essere cancellato o
  approvato per un mero conteggio di voti parlamentari.
  Centomila embrioni congelati solo in Italia, via libera agli esperimenti di
  ingegneria genetica, i confini dell'uomo sono stati infranti, si può
  intervenire sul DNA, si può clonare oggi un animale, domani un uomo.
  Che sarà di quell'esperimento unico ed irripetibile che è l'essere umano,
  nato da uno specifico incontro di ovuli e spermatozoi con il loro unico
  irripetibile e riconoscibile patrimonio genetico, patrimonio che due persone   di sesso opposto hanno deciso di unire, realizzando non solo la trasmissione   della specie, ma anche la trasmissione primaria dei valori fondamentali. 
  Che fine farà tutto ciò? Quale società nel Duemila, se l'attenzione viene
  spostata sull'aspetto egoistico del soddisfacimento dell'istinto genitoriale
  a qualunque costo? 
 Quale Stato può perseguire la felicità di pochi a danno dell'utilità di
  molti, quale filosofia può accogliere l'idea di un uomo senza limiti, senza
  sofferenze, senza dolore; il suo delirio di onnipotenza lo avvicinerà a Dio e
  nel tentativo di distruggerlo si distruggerà egli stesso, non riconoscendo
  che la forza dell'uomo non consiste nel raggiungere l'onnipotenza ma
  nell'accettare i suoi limiti, e la lotta di questa accettazione ne fa un
  essere superiore agli animali e permette di chiamarlo Uomo
  Per questo Uomo, che noi tutti crediamo sia fatto di materia e di
  anima, il dolore di combattere perché non venga cancellato da una miope
  politica di sinistra che pensa di essere nel giusto soltanto perché si è
  appiccicata addosso l'etichetta di "progressista", come se, in nome
  del progresso, si possano quantificare tutte le aberrazioni e le nefandezze
  che derivano da questo delirio di onnipotenza.

     

 

EXCALIBUR 8 - febbraio 1999

 

Jan Palach: un eroe dimenticato

 

Gennaio 1969: un ragazzo di 21 anni, Jan Palach, si
  dette fuoco in Piazza San Venceslao a Praga, davanti ai carri armati
  sovietici.
  Gennaio 1999: unica voce a ricordarlo, quella di Marcello Veneziani sulle
  pagine del Borghese. La sinistra tace, rimuove il ricordo di una vita
  bruciata in nome della libertà, perché quella libertà l'avevano calpestata i
  comunisti.
  So che è fazioso, "antistorico" dicono oggi, usare il termine comunisti,
  e comunismo, ma non mi dispiace essere accusata di faziosità e continuare ad usare quel termine, per indicare un pensiero, una ideologia che fa della
  inversione dei valori la sua bandiera e della demagogia la sua forza.
 Quale differenza sostanziale può esserci fra un regime che invade un paese
  sopprimendo la identità di un popolo e un regime che impedisce, attraverso il silenzio dei mass media, ad un popolo di conoscere la verità? La conoscenza è propedeutica alla libertà, perché conoscere significa scegliere, sopprimendola si sopprime la libertà.
  Ma se la Sinistra   tace, la Destra si adegua, e i suoi ragazzi devono andare al cinema per trovare in un mito di   celluloide l'identificazione dei suoi valori. E in quegli occhi azzurri di   Mel Gibson rivolti allo spazio infinito, a quel "cuore impavido"   che grida nel vento «Libertà! Libertà!» abbiamo delegato la nostra identità. 
  Che si alzi allora, forte, il grido di tutti gli uomini liberi, che hanno
  ancora il coraggio di parlare di Patria, di Nazione, di princìpi, perché il
  sacrificio di Jan Palach non sia inutile: morire per un'idea appartiene agli
  Eroi, vivere per difenderla è il nostro impegno!

 

 

EXCALIBUR 10 - maggio 1999

 

Dedicato alla "parte sbagliata"

 

Pensavo che scrivere un articolo sulla resistenza, mi riuscisse impresa facile, tanta è la rabbia covata dentro per anni, tanto il profondo e viscerale anticomunismo che mi anima, tanto il ricordo bruciante di aver avuto come Presidente di tutti gli italiani un partigiano, tanto il ricordo di quegli anni di scuola, con quel 25 Aprile pieno di bandiere rosse, quando il solo fatto di uscire in strada significava sfidare la morte. E invece non mi è facile, perché non trovo intorno la stessa rabbia, la stessa consapevolezza di 50 anni di storia scritti con il sangue di una guerra civile, guerra che una Nazione, se degna di tale nome, dovrebbe ricordare con vergogna e non con sfilate e cortei. Io non voglio chiedere scusa di niente a nessuno, né voglio dimenticare.
L'età non me lo consente, ma se avessi anagraficamente potuto, sarei stata fascista e l'8 Settembre avrei scelto la "parte sbagliata" insieme a tutti quei ragazzi che si arruolarono volontari nella R.S.I. e morirono per difendere un'idea, perché erano innamorati di quella idea di Patria, perché per loro la Patria non poteva essere definita fascista o antifascista, ma solo sentimento comune che unisce un popolo e si imprime nell'uomo.
E allora, a chi il diritto di decidere che un uomo che muore per una idea deve essere condannato e poi dimenticato, perché quell'idea è, giudicata dagli altri sbagliata. E in nome di cosa dobbiamo tacere, chiedere di essere perdonati. Perdonati di che cosa, di non essere stati comunisti? Di non essere colpevoli di aver infoibato e massacrato migliaia di italiani? Di non aver firmato noi l'armistizio che permise al "Liberatore" con fredda determinazione e con l'obiettivo di piegare l'ultima resistenza degli Italiani della R.S.I. di bombardare sistematicamente la popolazione civile (22.506 morti e 35.651 feriti), le città (7.872 abitazioni rase al suolo). Chi deve ricordare questo sterminio? Chi deve restituire quell'assegno di 160.000.000 che gli americani versavano mensilmente al C.L.N.? Chi deve ricordare il 7 Febbraio 1945, quando avvenne nelle montagne del Friuli l'eccidio di Porzus, quando un centinaio di elementi scelti di Partigiani Comunisti circondarono e massacrarono altri Partigiani colpevoli solo di essere Italiani anticomunisti e antislavi. Un film coraggioso in loro ricordo. L'Italia democratica e antifascista lo ha tolto dal circuito delle sale cinematografiche in soli tre giorni!
Altri fatti, altre date da ricordare, si potrebbe continuare e riempire decine di pagine, ma per chi? Per cosa? In un'Italia che ha perso ogni stima e valore di se, e che mendica un posto al sole in quella Europa che tale è perché noi la facemmo così con la spada e il cuore impavido di quei primi Italiani chiamati Romani, che civilizzarono quegli altri Europei che altri non erano che barbari. Per chi ricordare, quando non esistono più valori di riferimento ideali da difendere, quando da Destra non si leva una voce che chieda di uscire dalla N.A.T.O., alleati di quel popolo prepotente e presuntuoso che crede, con una storia di appena cent'anni, di poter decidere le sorti e i destini di una civiltà Europea da cui tutto dovrebbe imparare, quel popolo che ha per presidente un fantoccio che, per dimenticare le sue disavventure sessuali, si fa propaganda bombardando uno Stato sovrano "per difendere i deboli".
E quindi anche quest'anno, quel 25 Aprile è passato e nessuno ha levato una voce in ricordo di quell'altra parte sbagliata.
Da queste pagine, in loro memoria, riportiamo la lettera che Junio Valerio Borghese scrisse, ai «cari amici e commilitoni» della Decima dopo la conclusione del processo nel Febbraio 1949, perché ognuno di noi possa chiudere gli occhi e accarezzati dal tiepido vento della Primavera, in un immaginario sventolio di Tricolori, con una mano nel cuore, ripetere le parole di Borghese, perché il silenzio delle nostre menti possa fare più rumore di quello dei partigiani comunisti.

 

EXCALIBUR 12 - settembre 1999

La Destra nel pensiero antico

 

Con la filosofia è nata la capacità dell'uomo di pensare sé stesso, in relazione agli altri e in relazione a Dio, con essa è nata la Destra, la sua cultura, le sue radici, la sua continuità, ma anche la sua insicurezza e la sua incapacità di affermare con forza i propri valori lasciando alla sinistra il primato di una egemonia culturale, che è tanto più arrogante quanto più è stata ed è minoritaria.
Hanno cominciato dalle radici del pensiero umano, da quel sommo rappresentante di un'etica ascetica che fu Platone, identificando la sua concezione della polis come la prima forma di comunismo, esaltando la sua idea della abolizione della famiglia e della proprietà privata, dimenticando però di sottolineare che ciò andava applicato solo alla casta dei guerrieri, mentre i filosofi avrebbero governato la città, e i produttori avrebbero dovuto pensare al suo mantenimento.
Bisogna ricordare alla "intelligencija" di sinistra che secondo Platone i filosofi, ovvero i futuri governanti, si formano mediante la scelta dei migliori, cioè dei più dotati intellettualmente scelti tra la casta dei guerrieri e dopo una lunga e complessa opera di educazione. Non sembrano tesi molto vicine al marxismo.
Per non parlare della sua idea di degenerazione della città perfetta, che si ha con la democrazia, il governo del popolo, quando cioè i poveri si ribellano ai ricchi e si impadroniscono del potere; tutto ciò per Platone è sinonimo di anarchia, di disordine, di disobbedienza alle leggi. Il socialismo scientifico di Marx ed Engels non è sicuramente rappresentato dal pensiero di Platone. Eppure, qualsiasi libro di testo di un qualsiasi liceo, afferma essere Platone il primo comunista. E così le coscienze giovanili, ancora tabula rasa, si formano e crescono con questa idea e la convinzione che la ideologia comunista abbia un fondamento antico e in quanto tale valido nei secoli. Insegnamogli invece che di comunismo e di socialismo non si può parlare fino al 1800, che quello della sinistra è un "bluff" culturale, pienamente riuscito grazie alla loro capacità ad imporlo e manipolarlo e grazie alla incapacità della destra di affermare le sue espressioni culturali, i suoi valori, le sue tradizioni, il suo passato, le sue radici.
E allora riprendiamoci Platone, Aristotele, Socrate, la filosofia cristiana: le radici del pensiero umano che sono nostre perché è nostra la progettualità spirituale, perché è il "nostro pensiero" credere nelle infinite capacità dell'uomo, senza aver paura di affermare che se è giusto dare a tutti indistintamente la possibilità di crescere, non tutti possono crescere perché non siamo tutti uguali, ed è la diversità che distingue l'uomo dagli animali e dai comunisti...

EXCALIBUR 13 - ottobre 1999

 

Giù la maschera, spioni!
A proposito del "dossier Mitrokhin"...

di Isabella Luconi

Lunedì 10 Ottobre 1999, nel momento in cui avevamo terminato di impaginare questo numero di Excalibur, la TV ha reso noto il "dossier Mitrokhin", "la lista rossa degli spioni", così che non potevamo non pubblicare due righe di commento, le quali probabilmente saranno superate dall'incalzare degli avvenimenti. Poche righe per testimoniare lo sdegno, l'indignazione di tutte quelle coscienze che non possono più avere dubbi sul fatto che siamo governati dai "figli dei Bolscevichi", che nella terminologia di destra è più insultante di "comunisti".
261 i nomi nel listone rosso: su 258 si può aspettare che venga fatta più chiarezza, ma per i tre spioni principali: Cossutta, De Martino, Macaluso, assoldati dal K.G.B., non possiamo non gridare allo scandalo anche se, da Togliatti in poi, passando per lo scandalo delle cooperative rosse, c'è poco da meravigliarsi. Come si dice... il lupo perde il pelo ma non il vizio!
La cosa più grave è che il dossier non è un fatto nuovo, sembra che ne fosse arrivata una prima parte con il governo Dini, una seconda con il governo Prodi e l'ultima a Marzo (sei mesi fa) con il governo D'Alema. D'Alema e i suoi compagni: bolscevichi in doppio petto che varano "leggine assistenziali" per tenere buono il ceto medio (ex proletariato) per paura dell'esasperazione popolare e di fare la stessa fine degli Zar.
Ma cos'altro dobbiamo aspettare e sopportare per reagire? Perché se è vero com'è vero che in un paese democratico un governo serio si dimetterebbe, è altrettanto vero che una opposizione seria dovrebbe mobilitare le coscienze, scendere in piazza, fermare il lavoro e costringere il governo a dimettersi. Noi siamo disponibili e lanciamo l'appello a tutto il centro-destra. Se il "Polo della Libertà" non è un semplice slogan elettorale, se la parola "libertà" ha ancora un senso, allora gridiamo tutti insieme quella che involontariamente è diventata la parola d'ordine di questo numero: «Boia chi molla!».

EXCALIBUR 13 - ottobre 1999

 

Luoghi comuni e verità storica - Destra e sinistra nell'Ottocento

di Isabella Luconi

Storiograficamente viene definita Destra Storica quella rappresentazione parlamentare che si formò alla morte di Cavour e che ne ereditò il pensiero e la linea politica.
Le sue radici risalgono però ai primi decenni del XIX secolo, quando in tutta l'Europa andava diffondendosi il movimento romantico, movimento che fu inizialmente ribellione a quel concetto cosmopolita di società che era proprio della rivoluzione francese. E fu questo spirito ribelle che legò il romanticismo al nazionalismo, dando vita a quel liberalismo moderato che generò quei valori culturali e politici definiti e collocati nello schieramento parlamentare della Destra Storica.
Però nel corso dei decenni, grazie a quella "battaglia delle parole" che ha visto la Sinistra maestra e trionfatrice, siamo soliti associare al termine "Destra Storica", concetti come restaurazione, conservatorismo, difesa degli interessi delle classi agiate... Ma una analisi storica oggettiva, che prescinda da qualsiasi posizione ideologica, permetterebbe di riconoscere che fu proprio nel periodo in cui governò la Destra Storica che venne compiuta l'unità nazionale da un punto di vista legislativo e amministrativo e che fu ancora in quel periodo che, per la prima volta, grazie a quell'eminente economista (di destra) che fu Quintino Sella, che il bilancio dello Stato venne portato al pareggio.
Anche i libri di storia di regime, per quanto impegno possano mettere nel seguire un unico indirizzo interpretativo, non possono almeno accennare a fatti storici inconfutabili, come quello che bisogna attendere la caduta della Destra e la nascita del governo di Agostino Depretis, rappresentante della sinistra storica, per inaugurare quel processo che già allora fu chiamato "trasformismo", matrice culturale della tecnica di governo della attuale classe dirigente di Sinistra. E ancora al suo successore, Francesco Crispi, anch'egli degno rappresentante della sinistra, va il merito di essersi alleato con i più forti gruppi di industriali e armatori, perseguendo una politica coloniale a loro favorevole; di aver rafforzato l'alleanza con Germania e Austria e di aver portato il bilancio dello Stato sull'orlo della bancarotta.
È evidente che questa è una veloce e superficiale analisi degli avvenimenti, ma l'intento è quello di dimostrare che, culturalmente e storicamente, vi sono a Destra tutti quegli elementi oggettivi per combattere e vincere quella battaglia delle parole che ci ha visto sempre perdenti.
Per dimostrare che i contenuti e la sostanza delle azioni e degli avvenimenti che vanno dal Risorgimento alla unità d'Italia sono contenuti di Destra, e che appropriarsi attraverso termini come rivoluzione sociale, lotta dei lavoratori, ecc. dello spartiacque fra giusto e sbagliato, tra bene e male, tra destra e sinistra, è un arbitrio storico che serve poi a legittimare la tesi che il Fascismo fu sic et sempliciter regime totalitario. Sarebbe invece giusto interrogarsi quanto fu anche rivoluzione sociale, culturale e di costume e quanto influì il Mussolini socialista nel pensiero fascista, e quanto ancora questa conflittualità non risolta è presente nella Destra Italiana ed Europea.
Le risposte nel prossimo numero...

 

Il personaggio - Quintino Sella

 

Nato nel 1827 a Santa Maria di Mosso (VE), si laureò in Ingegneria e si dedicò all'insegnamento, finché nel 1860 cominciò la sua vita politica: nello stesso anno fu segretario generale della Pubblica Istruzione, senza voler percepire alcun emolumento; divenne poi Ministro delle Finanze e capo parlamentare della destra fino alla morte; fu strenuo difensore della politica di restaurazione delle finanze dello Stato, tant'è che nel 1876 conseguì il tanto agognato pareggio del bilancio; dopo essersi opposto all'alleanza dell'Italia con Napoleone III, fu uno dei più validi sostenitori di Roma capitale, inducendo il governo ad occuparla. Attivissima fu la sua partecipazione in Parlamento: incoraggiò l'istruzione professionale, promosse inchieste sulla situazione delle aree depresse, ideò le casse di risparmio postali.
Matematico insigne, svolse pure un'intensa attività scientifica, specie nel campo della mineralogia, scrivendo vari libri. A lui fu intitolato un nuovo minerale, la "sellaite", ed un fossile, il "clipeaster sellai".
Appassionato alpinista, fu nel 1863 uno dei principali fondatori del "Club Alpino Italiano". Morì a Biella nel 1884

 

EXCALIBUR 14 - Novembre 1999 

Pensiero stupendo

di Isabella Luconi

Era una vecchia canzone di Patty Pravo: «pensiero stupendo, nasce un poco strisciando...», e forse non siamo particolarmente maliziosi se diciamo che il "pensiero stupendo" di molti dei consiglieri regionali, anche aderenti e sostenitori del Referendum promosso dall'On. Fantola, sia "speriamo che non ce la faccia!".
Un rapido calcolo nelle proprie tasche e il pensiero stupendo diventa quello di continuare a garantirsi il miliardo circa tra stipendi e indennità varie (con congrua "buonuscita") da intascare nei cinque anni di legislatura.
Via, siamo seri, in un paese che affida le proprie speranze e fortune al "gratta e vinci", chi ragionevolmente butterebbe via una fortuna per un Principio?
Tutti molto bravi, da Sinistra a Destra, ad elencare i mali della Sardegna, a disquisire sulla necessità di un buon governo, ma nessuno (salvo qualche eccezione) che abbia detto, di fronte ad una legge truffa, che sarebbe moralmente doveroso sciogliere il Consiglio Regionale e tornarsene a casa, senza ovviamente il miliardo in tasca.
Sull'On. Selis & C. potremmo scrivere volumi, è la stessa combriccola che stava con Palomba, quella che ha portato la Regione Sardegna ad essere un ricettacolo di germi patogeni che la stanno divorando in un processo quasi irreversibile e per la sanatoria del quale forse non sarebbero bastati i cinque anni di legislatura del Polo delle Libertà.
Concediamo al Polo il beneficio del dubbio sulle sue possibilità e capacità di un buon governo (anche se già le nomine degli Assessori non ci sono sembrate scelte di qualità ma di compromesso). Auguriamoci una opposizione seria, puntuale, vigorosa per almeno arginare i danni che continuerà a fare il centro-sinistra.
Nel frattempo appoggiamo l'iniziativa referendaria e invitiamo tutti i nostri lettori, il 21 novembre, ad andare a votare sì al referendum che consentirà ai cittadini di riappropriarsi del diritto di scegliere con il proprio voto il Presidente della Sardegna e la sua maggioranza... senza compromessi e ribaltoni.

Fascismo e rivoluzione

abella Luconi

Il 7 Dicembre 1918 il Partito Socialista tenne a Roma il suo congresso, elaborando un documento finale che puntava direttamente alla «Istituzione della Repubblica socialista e della Dittatura del proletariato, e alla socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio». Con questo documento il Partito Socialista si autoescludeva da quel processo di rinnovamento democratico che tutti allora ritenevano inevitabile. E allora la scelta di Mussolini fu la "scelta di un traditore che mirava al suo prestigio personale" come sempre è sottolineato nei libri di storia, o "scelta di un uomo che non credeva in una mera trasposizione della dittatura bolscevica del proletariato in Italia"?
Forse la risposta la troviamo il 23 Marzo 1919, quando Mussolini fondò i "Fasci di combattimento": gli aderenti erano la frangia più radicale dell'ex interventismo di sinistra, ma nonostante ciò, alle elezioni del 6 Novembre 1919, i socialisti trionfarono passando da 52 a 156 seggi, mentre i Fasci di combattimento, che avevano presentato una sola lista a Milano non raccolsero che un migliaio di voti. Ma avevano in sé i presupposti che ne avrebbero sancito il trionfo: un leader indiscusso, Benito Mussolini, e una forte base militante, prevalentemente medio borghese, e avranno successo proprio nelle aree dove più forte era l'egemonia socialista.
Entrambi i movimenti avevano caratteristiche rivoluzionarie, ma con diversi e contrapposti valori di riferimento: l'uno fondava i presupposti sul concetto di nazione, l'altro sul concetto di dittatura del proletariato e non scevro dal concetto di "eliminazione fisica del nemico". Ricordiamo a tal proposito i tragici fatti di Palazzo d'Accursio del 21 Novembre 1920: i socialisti bolognesi fecero fuoco dall'interno del Municipio sui fascisti che volevano impedire l'insediamento della Giunta Municipale (per fortuna che alle ultime elezioni a Bologna la sinistra non usava i fucili!). E dal quel migliaio di voti il movimento fascista crebbe impetuosamente e vinse in tutte le aree del centro-nord, quelle aree saldamente in mano al partito socialista.
I Fasci di combattimento costituirono la struttura di base del movimento fascista e ne rappresentarono l'"anima rivoluzionaria", e questo non era sicuramente assimilabile alla Destra conservatrice. Al contrario la militanza diretta e la violenza di piazza ne fecero un nuovo movimento di destra con al suo centro la figura di Benito Mussolini, movimento che fu capace di mobilitare vasti strati sociali, di aggregarli intorno a sé fino a trasformare l'italietta di Cavour in quella Nazione che il Risorgimento avrebbe voluto.
Il fascismo creò il senso di appartenenza alla comunità, l'idea stessa della Patria per la quale tanti Italiani avevano versato il loro sangue e che era stata soffocata negli anni precedenti da una classe dirigente incapace e totalmente lontana dai sentimenti del popolo italiano, popolo che fu chiamato dal fascismo ad essere per la prima volta protagonista della sua storia; perché il fascismo sarà un regime autoritario (e non totalitario) di massa, e questa sarà anche e sempre la sua eterna contraddizione e ambivalenza: da un lato restaurazione dell'ordine (credere, obbedire e combattere), dall'altro rivoluzione, e questa ambivalenza rimarrà anche nella genesi della sua disfatta, non cadrà ad opera dei movimenti antifascisti, del tutto inesistenti, ma ad opera delle forze che lo avevano sostenuto. Il popolo italiano condannò non il fascismo rivoluzionario ma il fascismo che lo aveva portato alla guerra e alla disfatta.
E allora bisogna riscriverla questa storia, perché la storia del fascismo è la storia complessa di un fenomeno sociale che nel suo sviluppo non fu mai uguale a sé stesso.
La sua storia è stata scritta dalla sinistra, sulla scia della interpretazione crociana del fascismo visto solo come una parentesi storica, senza mai interrogarsi sul rapporto tra fascismo e storia d'Italia, e paradossalmente sono stati aiutati in ciò proprio dai moderni "fascisti", che perpetuando certi rituali (camicie nere, fez, simulacri...) identificano in ciò le radici ideologiche del fascismo, quando fu proprio lo stesso Mussolini a fare di questi rituali un uso consapevole, strumentale e necessario alla creazione di un regime di massa.
Togliamo, e togliamoci la camicia nera per riscoprire il fascismo, la sua storia, il suo spirito rivoluzionario e la sua idea più avanzata e non ancora superata della mediazione corporativa dei conflitti di classe, nell'interesse supremo della Nazione. Quella camicia nera che fu prima quella rossa dei garibaldini, ma che, ci chiediamo, fu anche quella tricolore del M.S.I. e quella azzurra di A.N.? La risposta nel prossimo numero.

EXCALIBUR 15 - dic. 1999/gen. 2000

 

Giovanni Gentile:ucciso dai partigiani gappisti toscani nell'Aprile del 1944.
Dissacrato e disonorato
dai servitori del regime nel Novembre del 1999

lla Luconi

Questo il testo inciso sulla lapide affissa nel cortile della Sapienza dell'Università di Pisa:
«L'Università di Pisa ricorda qui Giovanni Gentile come suo laureato e suo professore, profondo innovatore ed infaticabile organizzatore di cultura sul piano nazionale e della sua sede universitaria pisana. Sul regime autoritario e razzista che lo ebbe consapevole sostenitore resta la condanna della storia e del comune sentire umano». Questo il testo che avremmo voluto:
«L'Università di Pisa ricorda Giovanni Gentile, filosofo ed uomo politico, definito da Benedetto Croce "schietto fascista senza camicia nera". Spirito profondamente mistico, innovò profondamente il pensiero e la cultura della società nella quale viveva, avvalendosi di una cerchia di collaboratori fidati, scelti senza considerare pregiudiziale l'adesione al fascismo, in quanto secondo Lui, il Fascismo non aveva alcun bisogno di definire la sua dottrina poiché la dottrina del fascismo consisteva nella sua azione. Fu barbaramente assassinato dai partigiani gappisti il 15 Aprile 1944, mentre rientrava nella sua abitazione».
La scritta è di parte, tanto quanto lo è l'altra, ma la seconda è oggettivamente vera e non esprime giudizi né falsifica la storia. Sarebbe giusto invece ricordarlo così:
«Giovanni Gentile, uno dei maggiori filosofi del nostro secolo e uno dei maggiori storici della nostra cultura». La nostra Associazione si farà promotrice della richiesta all'Università di Palermo, dove nel 1907 Gentile vinse la cattedra di Storia della Filosofia, di porre un'altra lapide in memoria del Filosofo Giovanni Gentile.

EXCALIBUR 16 - febbraio 2000

 

Craxi come Mussolini?

 

«Il socialismo non è più una necessità economica, ma una necessità trascendente, metafisica: è la necessaria realizzazione dell'idea. Il socialismo non è più solo il prodotto del gioco e del travaglio delle forze economiche, ma anche e prevalentemente un atto di volontà». Mussolini, dall'"Avanti", 30 luglio 1913.
Sarà per il ricordo di quel giovane Mussolini con i baffetti e la bombetta in testa: coraggioso impavido idealista, militante di un partito rivoluzionario dal quale si allontanò quando questo non volle fare più la rivoluzione. Sarà per quel richiamo a Garibaldi che sul suo cavallo bianco attraversò quell'insieme di pezzi di terra che riuscì ad unire in un unico nome: Italia, e un unico sentimento: Patria. Sarà per quell'affascinante richiamo a quel socialismo democratico di Joseph Proudhon, che spostò l'accento del valore del lavoro più sul piano etico che non su quello economico. Sarà perché entrambi fecero della lotta al comunismo e al capitalismo borghese la loro ragione politica, che mi sembra che il 19 gennaio 2000 sia comunque finita, con la morte di Craxi, la capacità di credere in un'idea, in un valore, in un partito.
Il fascismo agrario e il socialismo si fronteggiarono, si combatterono, il primo prevalse sul secondo, ma avrebbero potuto fondersi e trovare insieme quella famosa terza via che avrebbe superato il capitalismo e il marxismo. Se il socialismo si liberasse dalle pastoie di concetti demagogici quali quelli della fratellanza e della tutela della classe operaia potrebbe essere il seme contenuto nei punti programmatici dei fasci di combattimento, potrebbe essere la nuova destra rivoluzionaria, sociale, moderna, ma con solide radici e basi culturali che poggino sull'individuo, sui suoi valori, quella destra che Marcello Veneziani definisce un «ponte tra padri e figli».
Mussolini come Craxi portarono i loro partiti da una manciata di voti al dominio parlamentare e sociale. Entrambi osannati e applauditi nel momento più alto del consenso, vilipesi e uccisi quando era necessario aprire le porte al comunismo e agli interessi americani in Italia. Al primo ci pensarono i comunisti partigiani dei G.A.P., al secondo hanno pensato politici e giudici mettendo in scena tangentopoli: con essa le porte ai neocomunisti sono definitivamente aperte. D'altronde a chi affidare la battaglia per salvare l'Italia dal comunismo e dal capitalismo americano? Al Berlusca in doppio petto, paladino dell'Italia che lavora e che produce, al leader di A.N. in sobri completi grigi e occhialini dorati da primo della classe, altezzoso ed arrogante, che si prende il merito di aver fatto uscire la Destra dal ghetto per congelarla in un centrodestra che di destra ha solo la collocazione fisica nei banchi del Parlamento? Al Berlusca e al Gianfranco Fini ricordiamo che il fascismo e il socialismo non erano i difensori dell'Italia che lavora, ma di quella che non lavora, o di quella che era sfruttata sia nelle fabbriche che dai proprietari terrieri.
Verso Bettino Craxi siamo comunque debitori per due motivi: il primo che con la sua politica impedì il compromesso storico chiudendo in questo modo le porte al comunismo. Il secondo che, dalla conquista dell'Etiopia, non vivemmo mai più un momento di così alto patriottismo, di dignità nazionale, come la notte di Sigonella nell'ottobre dell''85.
Mi consenta, Cavaliere, anche se era Suo amico, e mi consenta Onorevole Fini, nel bene e nel male è scomparso un personaggio, ora sono proprio rimaste solo le "mezze calzette".

EXCALIBUR 16 - febbraio 2000

 

Le bugie dell'Italia partigiana
Dopo mezzo secolo non hanno ancora perso il vizio… E se li querelassimo per falso ideologico?

 

Le parole che si usano per esternare un sentimento sono sempre le stesse e come tali retoriche e abusate, ma non trovo altro modo di esprimere ciò che ho provato leggendo l'articolo apparso su "L'Unione Sarda" di sabato 5 febbraio 2000: un profondo viscerale disgusto. Un breve cenno al contenuto, qualora fosse sfuggito alla lettura. La Giunta comunale di Sant'Antioco decide di intitolare la nuova Biblioteca comunale ad un ex repubblichino della Decima MAS, Giovannino Biggio, Eroe di Guerra in Africa, dove aveva perso una gamba in battaglia, e insignito della Medaglia d'Argento. Immediata la reazione querula e arrogante dei partigiani attraverso un duro documento firmato dal loro presidente Dario Porcheddu. Porcheddu scrive che la scelta della Amministrazione di Sant'Antioco è un'offesa a tutti coloro che sono morti per la libertà della nazione: «i fascisti possono cambiare nome [...] ma rimangono sempre arroganti e prevaricatori». Il documento continua descrivendo la figura di Giovannino Biggio come «uno spietato assassino fascista, il quale in qualità di responsabile della sicurezza della Fiat Lingotto, durante gli scioperi del '44/'45, con il suo fanatismo fascista, spiava e consegnava ai Tedeschi della Gestapo decine di operaie e operai». Se è vero, come dice Dario Porcheddu, che i fascisti cambiano nome ma rimangono arroganti e prevaricatori, è anche vero che i partigiani comunisti non hanno bisogno di cambiare nome, perché in Italia è assassino solo chi è di destra; ma sono stati i partigiani ad aver ammazzato Giovannino Biggio il 14 aprile 1945 nel locale della caserma Montegrappa dopo averlo attirato in un'imboscata, insieme ai suoi uomini... e per questo gesto i partigiani sono considerati eroi. Ma quando l'eliminazione fisica non è sufficiente, quando si corre il rischio che la gente sappia la verità, che porti rispetto ad un Eroe al quale è giusto dedicare una biblioteca allora, eccoli là, gretti, meschini, bugiardi e potrei usare altri termini, senza paura di querele o smentite, perché la verità è incontestabile e documentata.
Sappia, ma lo sa bene, il caro partigiano Porcheddu, che le cose alla Fiat Lingotto non sono andate come lui spudoratamente afferma, e questo non perché lo dico io, militante di Destra, ma è una verità resa come testimonianza (al processo contro Julio Valerio Borghese) dal Presidente dell'Unione Industriali del Piemonte, dirigente della Fiat, Giancarlo Camerana. Inutili i commenti, riportiamo integralmente il testo:
«Avendo la carica di Presidente dell'Unione Industriali del Piemonte, mi dovetti seriamente preoccupare di alcuni inconvenienti e minacce gravi che si profilavano contro l'industria. Da una parte la minaccia germanica di far saltare per aria ogni singola macchina dei nostri stabilimenti in caso di ritirata [...], dall'altra parte l'insicurezza delle vie di comunicazione, che rendeva ogni giorno più precario il rifornimento di materiali e viveri per gli operai dei nostri stabilimenti periferici: i numerosi camion che erano adibiti a questi compiti venivano spesso aggrediti e depredati dai banditi [...]. Fu per ovviare a queste difficoltà che pensai di rivolgermi al Comandante Borghese. Lo conoscevo da anni come persona seria e di massima fiducia; d'altra parte nessuno meglio dei marinai della X Flottiglia Mas, a tutti ben noti per la loro perfetta apoliticità, avrebbe potuto svolgere tali compiti mantenendosi completamente estraneo alla triste guerra civile in corso tra partigiani e fascisti».
Continua la testimonianza di Giancarlo Camerana:
«Nel settembre 1944 ebbi con Borghese un abboccamento all'albergo Principe di Piemonte di Torino [...]. Ricordo esattamente la sua risposta: "Salvare un'industria di importanza nazionale come la Fiat è un dovere per noi tutti. Se non sarò comandato, io non farò sparare sui Tedeschi finché siamo alleati; ma quanto a far saltare la Fiat, stia tranquillo che questo lo impediremo con assoluta certezza". Il Comandante Borghese mantenne la promessa [...]. Durante tale periodo alcuni uomini della Decima caddero nel compimento del loro lavoro. Fra i marinai e le maestranze della Fiat non avvenne mai il minimo incidente e i rapporti furono cordialissimi. A conclusione posso dire che l'opera svolta da Borghese fu oltremodo utile alla causa nazionale, impedendo di fatto cospicue distruzioni a fabbricati, macchinari e automezzi. Tale prestazione fu fatta per puro spirito nazionale».
E allora basta con le bugie, risparmiateci queste dimostrazioni di avvilente asservimento ad un'ideologia che per fortuna sta crollando mostrando al mondo il suo volto spietato, ma che purtroppo in Italia, grazie anche ai vostri parziali giudizi storici, è al potere e ci impone le sue verità.

EXCALIBUR 17 - marzo 2000

 

Militanza: un modo di vivere!
Dopo gli articoli sulla militanza "anni novanta" dello scorso numero, Isabella Luconi ci spiega cosa significava "militare" negli anni settanta e quali fossero le differenze rispetto alla militanza di oggi

 

Militante è per definizione «colui che partecipa attivamente alla vita di un partito, alla sua attività, alle sue lotte», pertanto, se il riferimento letterale della parola è il partito, in Italia si può iniziare a parlare di militanza politica solo dal momento in cui si costituirono i primi due partiti, quello socialista e quello popolare: una élite politica nell'Italia liberale prefascista, lontana dalle masse e dalla realtà del paese.
Bisogna attendere la rivoluzione fascista e la formazione dei fasci di combattimento, perché il termine si colori di sanguigna veemenza e partecipazione alla lotta e agli ideali di vita che il fascismo seppe rappresentare, mentre dalla parte opposta, la costituzione della prima internazionale e le lotte operaie. La forza della passione, la fede cieca nell'ideale di entrambi i movimenti ha poi costituito anche nell'Italia democratica postfascista un riferimento e un modo di concepire la militanza, che viene spesso, se non esclusivamente, intesa come prerogativa e attributo delle forze giovanili.
A tal proposito ho letto con attenzione e desiderio di introspezione i due articoli sulla militanza usciti sul precedente numero di "Excalibur", scritti entrambi da due ex militanti del F.d.G., i quali riportano ambedue una conclusione molto amara, che i dirigenti di Partito farebbero bene a leggere, e sulla quale, ancora meglio, farebbero bene a riflettere. Filo comune, per entrambi gli articolisti, è il ricordo molto vivo del senso di appartenenza ad una comunità, sentimento comunque identico a quello dei quarantenni e cinquantenni di oggi, ma, in un confronto con la generazione attuale, sicuramente gioca a favore dei primi l'aver fatto militanza in un periodo storico nel quale «ammazzare un fascista non è un reato».
Il ricordo rischia di non essere oggettivo perché colmo di nostalgia, nostalgia legata anche alla giovinezza che è passata e che non può più tornare. Questo non vuole dire che eravamo "migliori", ma che è cambiato il quadro politico e storico di riferimento, sono mutati i valori della società nella quale viviamo, e quelli che un tempo erano princìpi per i quali valeva la pena combattere e persino morire oggi sono diventati carta straccia.
Nostalgia, forse, ma come non ricordare con emozione quella atmosfera che trasudava dalle mura di Vico San Lucifero, simile, per non dire identica, a quella di qualsiasi altra sede; già, perché allora si chiamavano così, sinonimo di covo, di tana, comunque rifugio dal mondo, dagli altri, per costruire un altro mondo che ci piacesse di più.
Come non ricordare quei caschi che uscivano fuori all'improvviso, quando il grido del corteo dei compagni all'inizio della via si faceva più forte, come un boato che esplodeva dentro il cuore e dentro la testa: «fascista carogna ritorna nelle fogne!»; loro mille-duemila, sempre tanti, e noi dieci-venti, pochi, sicuramente spaventati, ma negli occhi la fiamma che accendeva la passione degli eroi, ragazzini senza barba, improvvisamente adulti, consapevoli che non era un gioco e che forse potevi non vedere il Domani, e con questa consapevolezza uscivamo tutti insieme da quella porta per andare incontro alla vita e alla morte, e sicuramente non ci salvò quel pezzetto di catena che tintinnava nelle tasche di quegli striminziti giubbotti che si usavano allora e che ci distinguevano dall'eschimo dei comunisti.
A volte ci salvò il coraggio e la fede nei nostri ideali, altre volte ci salvò la polizia e altre volte ci salvò persino la galera. In quegli anni sarebbe stato facile procurarsi un'arma, forse giusto difendersi, perché la sproporzione numerica fra noi e i compagni era enorme, ma altri erano gli ideali che ci sorreggevano, e per quanto verbalmente e visceralmente pensassimo che «il comunismo doveva morire», troppo forte era il valore che davamo alla vita e alla libertà di viverla perché qualcuno di noi pensasse intenzionalmente di uccidere un comunista.
Quella era allora la nostra vita, non ne conoscevamo altra diversa, il mondo era rappresentato e vissuto in quella militanza: scontri, galera, sacrificio, dalla mattina alla sera sempre in prima linea, non potevi avere un'altra vita, l'unica che conoscevi era quella. Forse per compensazione, forse perché l'età era quella che era, forse perché troppo grande era l'impegno e la passione nel difendere i nostri ideali, che con la stessa veemenza, con le stesse passioni, trasformavamo, quando non c'era da affiggere o da adempiere ad altre attività, le nottate e le vie di Cagliari in una continua serie di scherzi goliardici che coloravano le notti buie con i colori della Gioventù.
Mi rendo conto di aver scritto un'inesattezza, ho usato il plurale, mentre non ho mai partecipato alle "nottate goliardiche dei giovani fascisti", e sorrido scrivendolo, perché nel ricordo è come se avessi partecipato anch'io, perché il giorno dopo il racconto, l'allegria, il cameratismo coinvolgeva e faceva sentire presente anche chi non c'era.
Non avrei voluto usare e ricordare il termine "cameratismo", accusato oggi di vetustà, nostalgismo retorico, ma quale altro termine usare per descrivere il sentimento che ci unì allora; e credo che non esista al mondo sentimento più forte, che nulla ha a che vedere con l'amicizia. Anzi, molti fra di noi non erano amici, vi erano differenti passioni, caratteri diversi, scontri, antipatie, ma un pezzettino di noi viveva insieme agli altri, e ti dava la certezza che nel momento in cui fossi caduto avresti avuto la mano di un camerata per sorreggerti, e se quella mano non veniva tesa era solo perché chi avevi a fianco non era un camerata. È quello stesso sentimento che dopo vent'anni ti ha permesso di rincontrare un perfetto sconosciuto, e salutarlo come ieri: «ciao, camerata!».
E in questa vita, in questa lotta, ieri come oggi, il Partito non c'era, anzi, forse per noi più spesso cantò il gallo di San Pietro, espulsi quando faceva comodo e non era politicamente corretto averci come tesserati. Ma non ci importava, quello che contava era quella piccola tessera con la fiaccola e non la grande fiamma del M.S.I., ma era comunque il Nostro Partito, e quando questi chiamava noi rispondevamo, e quando non eravamo d'accordo lottavamo perché le cose cambiassero, consapevoli che non erano le idee ad essere sbagliate, ma gli uomini che le rappresentavano, perché militanza è anche questo.
È qualcosa che ci ha reso diversi, migliori o peggiori non lo so, ma sicuramente diversi, perché chi è stato militante non smette più di esserlo, e continua nella vita di tutti i giorni, nelle quotidiane battaglie che siamo chiamati ad affrontare, per essere esempio di coerenza con i valori in cui crede e per i quali si è battuto; e allora quella conclusione dei due ragazzi ex militanti del F.d.G. è ancora più amara, perché il riferimento ad un valore quale è la militanza non può essere un partito, perché questo valore è dentro di noi, e se i ragazzi di oggi fra vent'anni non potranno incontrare l'amico di ieri e salutarlo con «ciao, camerata», vuole dire che è finita un'epoca, ed è un'altra perdita sulla quale l'uomo dovrà piangere, perché quando cercherà se stesso, non troverà altro che aride zolle.

EXCALIBUR N. 18 APRILE 2000

Viva L'Italia, la nostra Italia!

 

Da "Il Giornale" di sabato 1 aprile 2000: «Una via a Lodi per ricordare Sergio Ramelli - La Giunta del Comune di Codogno (Lodi) ha deliberato di intitolare una via della città a Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, morto in seguito all'agguato tesogli da extraparlamentari di sinistra. Una chiave inglese abbattutasi con ferocia sulla testa ne ha stroncato la giovane vita. Immediata la reazione dell'A.N.P.D.I. (ma che c'entrano i partigiani? n.d.r.) e del centrosinistra cittadino: "è vero che questo ragazzo è stato ucciso, ma era solo fascista"».
Leggiamo con piacere questa notizia, perché la nostra Associazione ha iniziato il suo percorso proprio ricordando questo avvenimento, organizzando a Cagliari, tre anni fa, un convegno in occasione della presentazione del libro di Giraudo sulla morte di Sergio Ramelli.
Ci congratuliamo con la Giunta di Codogno per la capacità di esprimere con un atto pubblico il bisogno di quella giustizia storica che tanto fatica ad affermarsi; contemporaneamente ci rammarichiamo perché la Giunta del Comune di Cagliari non ha avuto lo stesso coraggio lasciando che la promessa di intitolare una piazza o una strada ai "Martiri delle Foibe" rimanesse tale, cioè una promessa.
Ma sicuri della certezza dei nostri diritti, continueremo il nostro cammino, sordi alle stonate campane dell'A.N.P.D.I., stanchi di doverci scusare ogni volta che si nomina il 25 aprile, la Resistenza e i partigiani, certi che non sono stati questi ultimi a fare l'Italia, quella terra che è stata ed è il suolo natio di tutti gli Italiani, vinti e vincitori.
E quando la verità, scevra dal giudizio ideologico e politico di parte, riuscirà ad affermare che il tradimento fu la moneta usata per vendere l'Italia agli Alleati, fino a ieri nemici, e che molti sacrificarono la loro vita per cancellare questo tradimento, solo allora potremmo finalmente riconoscere che fu il popolo italiano tutto, da ambo le parti, che pagò e soffrì e morì per la libertà, e per difendere un'Idea, da qualunque parte Essa fosse.
Per quelle migliaia di morti seppelliti sotto le macerie delle case bombardate con fredda determinazione dagli Americani, per fiaccare la resistenza della Repubblica Sociale (anteprima di Hiroshima), per i "nostri partigiani" che resistettero al nemico nella R.S.I., per tutte le Ausiliarie stuprate e trucidate, per tutti i Martiri delle Foibe, per tutti i giovani del Fronte della Gioventù morti come i loro camerati cinquant'anni prima per difendere un Ideale, il 25 aprile, insieme a tutto il popolo di Destra, gridiamo: «Viva l'Italia, la nostra Italia!».


 

EXCALIBUR 19 - maggio/giugno 2000

 

Per una Destra... libera da Berlusconi

 

Forza Italia, il Partito-Azienda

Forza Italia, già il nome è tutto un programma e rispecchia quello che rappresenta questo partito: immagine, forma, tecniche di marketing, ma nessuna sostanza, nessun valore, nessun riferimento storico-culturale, così come il suo leader, Silvio Berlusconi, impeccabile, giusto, trasgressivo quanto basta per piacere alle folle, l'occhio sinistro un po' chiuso, attributo nelle peggiori fiction televisive del protagonista perverso e malfamato, ma che al contrario, in Lui, rappresenta un tocco di umanità, perché ne sottolinea la possibilità, se pur minima, di imperfezione, mentre è perfetta la dentatura a 360°, che ricorda un po' quella degli squali, senza offesa per questi ultimi.
Si sa che la mania di grandezza cresce con il crescere del proprio senso di onnipotenza, e dev'essere che Berlusconi, a forza di andare allo stadio per tifare il suo Milan, ha cominciato ad immaginare l'Italia come un grande stadio, dove tutto il popolo può gridare «Forza Italia» e soprattutto può sventolare bandiere con la sua immagine.
Però è stato bravo e l'operazione di marketing gli è perfettamente riuscita: ha colmato il vuoto politico lasciato dalla Democrazia Cristiana, recuperando vecchi democristiani e proponendo alcuni nomi nuovi (pochi per la verità) marcandoli con il suo marchio doc, come nelle migliori tradizioni dei ranch americani.
Ma l'operazione che più gli è riuscita e per la quale merita un posto d'onore fra gli strateghi politici è stata quella di farsi portavoce del ceto medio borghese, dell'Italia che lavora e che produce, quella stessa Italia schiacciata dalle holding economiche, delle quali fa parte Berlusconi e il suo impero finanziario. E ammesso e non concesso che il suo anticomunismo sia autentico, e che abbia scelto di fare politica ufficialmente (perché già la faceva insieme a tutti gli altri grossi industriali) per impedire l'avvento al potere della Sinistra, qualcuno mi deve spiegare perché oggi cerca di nuovo l'alleanza con quel Bossi, il cui ribaltone ha permesso l'ingresso dei comunisti al governo in Italia. Evidentemente concetti come dignità, coerenza, valori morali ed etici non appartengono a quel mondo politico-economico di cui Berlusconi fa parte. Anche le sue ultime scelte, sul piano della coerenza, sono discutibili, come le recenti posizioni sul proporzionale.
In Italia, dagli anni settanta in poi, si è maturato un percorso storico, culturale e politico che inevitabilmente avrebbe portato alla contrapposizione fra i due poli estremi: Destra e Sinistra, recuperando in breve tempo, con la violenza degli avvenimenti, quel tragitto più lungo e democratico che in altri Paesi ha portato a maturità parlamentare queste contrapposizioni. Ma si sa, gli estremi contengono variabili non sempre governabili, in quanto rappresentanti di masse ideologicamente determinate, e allora al potere economico non rimaneva che ricreare il cosiddetto centro: più asservibile, più corruttibile, più politicamente corretto, sostenendolo, memori della lezione della Storia, quando il blocco degli industriali al governo Giolitti costò l'avvento del Fascismo.
E, per ricostruire questo centro, vanno bene alleanze ed accordi di ogni tipo, anche con i partiti più piccoli e miseri, che però sarebbero spazzati via in un sistema maggioritario... e allora via con il proporzionale. di liberale memoria, garanzia per le minoranze di imporre il loro volere, anche se rappresentanti di niente.

La politica del bastone e della carota

Ma il capolavoro maggiore, fiore all'occhiello del leader forzista, è la gestione di Fini e del suo partito. È riuscito là dove anni di emarginazione, di ghetto, di eliminazione fisica dei suoi militanti non sono serviti. Ne ha fatto un partito burla, un fantoccio manovrato e condizionato dal suo grande carisma. Con abile manovra lo ha trasformato in una forza politica parlamentare legittimata, i cui voti possono essere usati (da Lui). La carota davanti all'asino ha funzionato e l'asino continua a scodinzolare contento del miraggio e desideroso di compiacere il padrone della carota.
E, ad essere sincera, è proprio questo che non mi garba. Alleanza Nazionale è, anzi era, un partito con solide radici culturali, con il suo retroterra storico, erede volente o nolente della Destra Italiana, da quella liberal-conservatrice a quella rivoluzionaria prefascista, passando per Mussolini e arrivando al M.S.I.. Cento anni di storia, di tradizioni, di idee, valori sui quali discutere, confrontarsi e magari litigare, per quel bellissimo pulsare di anime contrapposte che fa della Destra italiana una fucina di idee, di programmi, di rivoluzionari e di borghesi, ma sempre e comunque un'esperienza unica nel mondo culturale e politico sopravvissuta a tutti gli avvenimenti.
Basti pensare che lo stesso fermento costò al P.S.I., nel 1920, la sua identità ideologica.
Ma la Destra ne è uscita indenne, persino "Fiuggi" è stata superata, anche se è costata lacrime amare allo zoccolo duro del M.S.I.. C'è stato un momento, anni fa, in cui sembrava che il popolo italiano fosse impazzito, dimentico dei "valori della resistenza e dell'antifascismo": chiedeva, a gran voce e con i suoi voti, un governo di Destra. La Destra avrebbe dovuto cogliere questo fermento, questo anelito di libertà, parlare un linguaggio nuovo, libero dalle pastoie delle camicie nere, ma capace di riproporre quegli elementi rivoluzionari del fascismo che sono l'espressione più alta di un'ideologia antiborghese e antibolscevica.

Alleanza Nazionale, partito delle occasioni perdute


Avrebbe dovuto cavalcare l'onda del malcontento, avvicinarsi e parlare con un linguaggio nuovo al mondo operaio, disilluso e scontento dalla politica sindacale della triplice, serva del governo. Avrebbe dovuto, con i suoi uomini, conquistare la U.I.L., memore che nel 1920 fu la formazione che fornì tutti i suoi quadri al movimento sindacale fascista. Avrebbe dovuto parlare con forza di partecipazione, facendo seguire alle parole i fatti, sperimentandola sul campo, applicandola in tutte le imprese proprietà dei suoi iscritti, e presentando poi i risultati al Paese... E invece ha creato la U.G.L....
Doveva scendere nelle piazze, insieme alla gente, contro la criminalità, schierarsi a fianco delle forze dell'ordine... da Milano a Palermo, una catena umana martellante e continua, e invece ha permesso che un suo parlamentare presentasse il disegno di legge svuotacarceri, poi approvato come "legge Simeone".
Doveva incoraggiare e sostenere intellettuali come Marcello Veneziani, che sapessero parlare dei Valori della Destra senza che apparissero parole senza senso, creare nuovi fermenti culturali capaci di esprimere i nuovi equilibri e le nuove battaglie che l'uomo del 2000 è chiamato ad affrontare... e invece guai alle voci nuove e coraggiose, sono solo dissidenti e traditori.
Dovevano sventolare il tricolore su questa nostra terra calpestata e mortificata dalle sinistre e non chiedere perdono per i morti antifascisti, ma pretendere con coraggio e fermezza che fossero gli antifascisti a chiedere perdono per i nostri morti: Italiani non come gli altri ma più degli altri.
Dovevano lottare contro l'edilizia popolare, che ha trasformato interi quartieri in ghetti dove prolifera il seme dell'odio, dell'emarginazione, della prostituzione e della delinquenza; masse scontente ed infelici che la Sinistra manovra con una accorta e strumentale politica assistenziale, fatta di piccoli assegni di mantenimento per i quali dire grazie al padrone che te li concede. Dovevano andare lì, in questi quartieri, a parlare di lavoro, di dignità, di giusti diritti, di impegno, di coraggio e di meritocrazia, di libertà e avrebbero conquistato le folle, abituate al linguaggio socialese della sinistra.

Per ricostruire un vero Partito di Destra

Dovevano questo e altre mille cose, perché la Destra è tutto ciò: rivoluzione e tradizione. Invece sono stati capaci solo di dire «signorsì, signor Cavaliere, come vuole Lei»; ormai le uniche uscite pubbliche di Fini sono per affermare: «... non importa... sono discussioni marginali... il Polo è sempre unito...».
Ma francamente chi se ne frega del Polo. A cosa serve? Se la sinistra è al potere, cosa abbiamo da perdere se affermiamo con forza e con prepotenza il nostro ruolo politico e culturale di destra... o le poltrone sono diventate troppo comode e la paura di perderle ti fa accettare tutto?
Berlusconi ha scavato una piccola nicchia e ci ha messo dentro Alleanza Nazionale, ogni tanto si ricorda di portargli acqua e cibo, ma per il resto del tempo lo tiene incatenato, e l'animale fedele al padrone gli lecca le mani, contento di poter mangiare le briciole avanzate.
Abbiate il coraggio di ribellarvi e tutto il mondo della Destra sarà con Voi. Ricostruite un partito che sia degno di questo nome, che abbia militanti e non iscritti, che lasci circoli e circoletti alle dame di carità e ai Lions club di Forza Italia, un partito che torni ad avere le sue sedi, le sue bandiere, i suoi stemmi, le sue pulsioni e i suoi ideali. Fermenti unici di un'Italia viva, forte, aggressiva, un'Italia di destra, che per cento anni ha lottato perché non trionfasse il comunismo e/o le sue varianti moderne.
Un partito di uomini e di idee, dove è importante la fede nell'ideale, l'azione, la pulsione verso l'avvenire unito alla certezza del proprio passato... e saremo noi allora a mettere la carota davanti all'asino Berlusconi.

EXCALIBUR 20 - luglio/agosto 2000

 

Bravo Feltri, 7+

 

Qualche affezionato lettore, di lunga memoria, ricorderà che è lo stesso titolo che usai all'indomani del congresso di Verona: "Bravo Fini, 7+".
Non è mancanza di fantasia, ma è ciò che mi viene in mente quando assisto all'arroganza e alla presunzione di chi, senza molti scrupoli, taglia ogni ponte con il passato, con le proprie radici, con i propri valori. La scusante per Feltri è che probabilmente non era il suo passato, non erano le sue radici, non erano i suoi valori, anche se, in anni non lontani, ce lo ha fatto credere.
Dunque il "Borghese" non esiste più, è diventato "Libero".
Nel Suo taccuino Feltri ne spiega i motivi:
«Il nome "Borghese" consente agli antifascisti di relegare chi compra il settimanale nel lazzaretto degli appestati...».
Caro Feltri, noi ci siamo abituati, nel lazzaretto ci siamo stati per decenni e non ci spaventa la battaglia delle parole, visto che per difenderne alcune molti di noi sono morti.
«La borghesia, come diceva il nostro fondatore Leo Longanesi, non esiste più...».
Caro Feltri, purtroppo i morti non possono replicare, e chissà se Leo Longanesi sarebbe d'accordo con quella particella - "nostro" - che Lei ha usato, per accomunarVi, in una analisi sociologica che quanto meno andrebbe spiegata. Personalmente non sono una sostenitrice della borghesia, innamorata, come sono, di quel giovane rivoluzionario antiborghese che fu il primo Mussolini, ma da qui ad affermare che la borghesia non è mai esistita, mi sembra una inesattezza, non degna della sua cultura.
«Ho deciso di mutare il titolo di questo giornale per rispettarne l'anima, non per paura ma per sfida...».
Caro Feltri, siccome non mi piacciono le prese di posizione superficiali e senza una attenta analisi dei contenuti, ho continuato a leggere il Suo giornale per cercare l'anima del "Borghese/Libero", e siccome l'anima è una cosa che per capirla bisogna metterla a nudo... l'ho trovata:
Prima pagina intitolata "Eros made in U.S.A." (perché non ci bastava quello italiano?).
Inserto: "Guida ragionata ai club privé di Milano".
Finalmente un buon servizio per i cittadini tutti, visto che il sesso non va né a destra né a sinistra: indirizzi, costi e giudizi sulle qualità e le caratteristiche dei club privé di Milano... chissà come saranno contenti i proprietari di tutta questa pubblicità gratuita (ma lo sarà?).
Pazienza, è un inserto, si può sempre staccare, continuiamo a leggere per cercare articoli che parlino di politica e ne troviamo uno solo, spacciato per due nel sommario, ma è lo stesso articolo dello stesso autore.
Pazienza, forse Feltri non vuol parlare troppo di politica, magari prenderà posizioni più nette su altri temi, continuiamo a leggere... Ah, eccolo lì, un bell'articolo su Gad Lerner; mi accomodo sulla poltrona per assaporare meglio il gusto di vedere scritti nero su bianco tutti gli insulti che provenivano dal cuore della gente di destra ai bei tempi di "Pinocchio". Altolà, che delusione, leggo: «Gad Lerner, è giunto a dirigere l'informazione di mamma Rai, meritatamente».
Pazienza, ognuno è libero di difendere anche i topi di fogna... continuiamo a leggere... ma leggere che cosa? Più sfoglio questa pseudorivista che è diventata il "Borghese" sotto la direzione di Feltri e più mi sembra un numero di "Famiglia Cristiana" in versione hard.
Caro vecchio "Borghese", dove sei? Eri come un piatto di pasta e fagioli... pesante, denso, probabilmente non digeribile da tutti, sicuramente poco moderno e poco agile... ma così saporito. Ora, invece, abbiamo un bel brodo di dadi, leggero, da tutti digerito, senza sostanza e senza paura che possa far male a nessuno, un bel consommé insipido e superficiale, come la destra di oggi.
Ma povera me, e poveri tutti quelli come me, che invece non amano il brodo di dadi. Cosa potranno mai leggere, dove potranno mai informarsi in modo fazioso e di parte come fa la sinistra?
Credo proprio che ancora una volta e anche in edicola bisognerà chiedere: «Per favore, mi dia la rivista della destra che non c'è».

EXCALIBUR 22 - ottobre/novembre 2000

Senza stimoli

Sfogliando questo numero di Excalibur, molti lettori potrebbero sorridere per il contenuto un po' nostalgico e di parte che in esso viene pubblicato. Non sempre è una scelta della redazione, spesso è una casualità, ma è una di quelle casualità che ci obbligano a riflettere.
Abbiamo cercato di stimolare i nostri collaboratori esterni e gli amici che ci seguono ad esprimersi su temi di attualità, abbiamo cercato di stimolare un dibattito sulla destra in genere e su alcuni nodi cruciali di Alleanza Nazionale in particolare. Sempre sofferte e stentate le risposte, mentre senza mai farne richiesta ci pervengono articoli che possiamo benevolmente definire "nostalgici", e molti quelli che decidiamo di non pubblicare proprio per non cadere in un facile cliché che correrebbe il rischio di etichettarci in modo troppo parziale e irreversibile.
Ci chiediamo se il mondo della destra sia prevalentemente, nonostante le abiure pubbliche, ancorato a passati regimi e filosofie... potrebbe essere. Ma ci chiediamo anche se lo scenario politico attuale sia così scialbo e inconsistente da non lasciare spazio ad una creatività letteraria indice di un moto dell'anima partecipe ed entusiasta. Effettivamente è un po' difficile entusiasmarsi e scrivere qualcosa di intelligente ed originale sul binomio Rutelli-Amato; appassionarsi alle vicende interne dei D.S. o esprimere un'opinione su Veltroni.
Il nemico per antonomasia della destra è diventato così inconsistente ed effimero che è quasi impossibile attaccarlo.
E quando il massimo delle dissertazioni culturali è rappresentato dalle discussioni sul "Grande Fratello", beh... scusateci se qualche volta Excalibur assomiglia per contenuti a ciò che il suo nome rappresenta.

 

Quando c'era Lui... caro lei...

 

Italietta, senza onore né gloria. Conflitti, odii, egoismi. Parole vuote di politici inutili.
Pragmatismo, utilitarismo, edonismo i valori vincenti. Sempre più numerosi i deboli, gli emarginati, i reietti senza uno straccio di eroe che li difenda. Soldi e successo i traguardi da raggiungere. Pietre al posto del cuore e l'uomo sempre più simile ad un contenitore vuoto, plasmabile, duttile, pronto a trasformarsi nel prodotto che il padrone di turno ritiene essere quello vincente. Una natura sconvolta, nemica dell'uomo, destinata a soccombere sotto i suoi colpi spietati.
E allora quando l'angoscia dilaga e il vivere quotidiano è un groviglio di spine, non rimane che rifugiarsi nel sogno celato, nascosto, privato, per attingere da esso l'energia per non soccombere.
È il sogno di quella Roma antica che conquista il mondo, è il sogno che ti fa sentire nel cuore e nelle orecchie il fragore della battaglia, che ti fa vedere il coraggio e l'audacia di quelli che erano, sono e saranno i nostri antenati. E quel sogno continua, si anima, alita leggero sulle spade dei cavalieri, si alimenta e cresce sulle loro virtù, raccoglie il povero, difende il debole, corteggia le donne. Tutto è spirito, ideale, virtù, e come una linfa vitale si snoda nei secoli e accende il cuore di coloro che diedero la vita per l'Italia unita, per quel tricolore oggi lacero, calpestato, spesso irriso. E in quel sogno l'angoscia di vivere in questa "moderna" società che ha inghiottito tutto ciò per cui vale la pena di vivere è ancora più forte e dilaniante.
Riaprire gli occhi è faticoso... meglio continuare a sognare e volare sulle sue ali fino a Predappio, per vivere con quell'uomo che fu un grande uomo, proprio quando non sapeva ancora di esserlo. E il sogno è vivere con Lui la grande avventura socialista, quando aveva già nel cuore il tarlo del dubbio, ma la certezza che la grande massa degli oppressi non era difesa ma soggiogata dal massimalismo socialista. E con questa certezza sfidò il suo partito.
E il sogno è essere con Lui in quelle tumultuose riunioni illuminate dal lampo magnetico dei suoi occhi, dalla forza delle sue idee così grandi che lo fecero espellere dal partito. Quel partito che credeva nell'unico valore della rivoluzione e che scacciò l'unico uomo in grado di attuarla.
Non fu riconosciuto filosofo, ma fu il più grande, innovativo, spregiudicato e moderno pensatore che calpestò con le sue idee postulati ormai diventati legge, e, come un fuoco che tutto brucia, trascinò con sé tutti i cuori giovanili.
E nel sogno sono con Lui, sul carro degli arditi per giurargli fedeltà, sono con Lui quando ebbe il coraggio di dire: «Se il fascismo può fare a meno di me, ebbene io posso fare a meno del fascismo!».
Ah... quel Mussolini così rivoluzionario, così boheme, così grande, così unico... come unico fu il Fascismo, la più moderna ideologia politica che potesse essere concepita, proprio perché le si negava l'immobilismo tipico di tutte le ideologie. Era azione, pulsione, era ciò che lo spirito dell'uomo riesce a produrre in quanto idealità e non materia.
Hanno dovuto compiere uno scempio sul suo cadavere per distruggerlo, perché da vivo non avevano saputo contrapporgli niente. Il comunismo vive e si alimenta annientando il debole, e Lui poteva essere debole solo da morto.
E sono con Lui in Piazzale Loreto, ma poi sono sola in questa democrazia pecoraia, dove chi vive secondo un codice di valori che il Fascismo fece grandi è un uomo solo, emarginato, irriso, e può solo pensare, mentre una lacrima filtra dalle ciglia chiuse con forza su un sogno impossibile, può solo pensare e sognare... quando c'era Lui... caro lei.

 

EXCALIBUR 23 - dic. 2000/gen. 2001

25 novembre 2000 - cronaca e commenti

Anche l'Associazione "Vico San Lucifero" ha la sua data da ricordare! In questo giorno è stato inaugurato il "Parco Martiri delle Foibe".
Non credo sia possibile rendere attraverso le parole l'intensa commozione che ha caratterizzato tutta la cerimonia. Le note struggenti de "Il Piave mormorava" hanno accarezzato con mano gentile i volti segnati dall'età degli esuli presenti, e nelle rughe profonde si poteva leggere tutta la loro vita, tutti i loro sacrifici, tutti i loro ricordi che come uno zeffiro primaverile sono usciti dai loro cuori, per posarsi sulla foiba incisa sulla pietra e unirsi ai cuori dei loro martiri, dei loro amici, dei loro fratelli.
Per un'ora, ci siamo sentiti tutti veramente, profondamente Italiani, ridando valore alla parola Giustizia.
Per un'ora la parola Patria è entrata nel cuore di tutti i presenti, significando che chi ha dato la vita per la propria terra non è antifascista o fascista, ma solo e semplicemente Italiano. Altre volte ci siamo commossi per l'Inno nazionale, altre volte lo abbiamo cantato con la mano nel cuore e le lacrime agli occhi, quasi ospiti in un'Italia che è Italia solo se antifascista, ma questa volta è stato diverso, e mentre una brezza leggera scompigliava i nostri capelli e nuvole bianche si rincorrevano l'una con l'altra, quel "Fratelli d'Italia" ha colmato il buco nel cuore che hanno tutti coloro che sono stati emarginati e vilipesi perché non ritenuti degni di essere considerati fra quelli che hanno costruito l'Italia.
Viva l'Italia!

EXCALIBUR 23 - dic. 2000/gen. 2001

Un anno di Centrodestra alla Regione sarda - luci ed ombre...

Le altre Amministrazioni regionali subirono la peste suina, questi la lingua blu: quelli erano maiali, questi pecore... Ogni riferimento al Consiglio regionale della Sardegna è puramente casuale... ma il paragone animalesco è troppo calzante per non indurre in tentazione.
La caratteristica principale dei suini è la sporcizia e, in tanti anni di malgoverno, il centrosinistra e la sinistra ne hanno prodotta molta, riducendo questa terra meravigliosa e questo popolo fiero e coraggioso ad una moltitudine indistinta e schiava di un padrone che con una abile e strumentale politica assistenziale ne ha inficiato alla base la capacità di autogestirsi. Ci vuole ben altro che un gregge di pecore per ottenere cambiamenti radicali, per ridare fiducia al popolo sardo, soprattutto quando, mascherati da pecore, pascolano, facendo finta di essere innocui, i maiali di ieri. Gli stessi nomi, gli stessi volti, lo stesso modo di governare, e il Centrodestra ha già perso la sua battaglia ancor prima di incominciare, l'ha persa scegliendo i suoi uomini, i suoi assessori, il suo presidente.
Basta citare ad esempio l'Assessorato Igiene e Sanità: come si può chiedere un segnale forte di cambiamento quando l'Assessore prescelto è lo stesso uomo che governava dieci anni fa? E tutti conosciamo in quali condizioni è ridotta la sanità: quanti Sardi sono costretti a farsi curare in altre Regioni perché in Sardegna mancano talvolta anche i servizi di base? Quanti validi medici hanno dovuto scegliere di esercitare la professione al di fuori dell'Isola? Scelta a volte sofferta, ma necessaria quando per onestà di carattere e professionalità non si vuole diventare gregari di quella baronia medica che governa la sanità, gestisce le cattedre, i concorsi e i posti di lavoro. Avremmo voluto vedere un segnale forte di cambiamento, abbiamo invece solo assistito ai litigi per le nomine dei direttori delle A.S.L..
E che dire dell'Assessorato all'Ambiente? Questa volta un nome nuovo, è vero. Ha ereditato un assessorato difficile, non governabile con parole vuote e strategie politiche, ma con fatti, iniziative, soluzioni. Il centro sinistra è stato in grado di produrre solo Enti inutili, dove sistemare i suoi uomini più fedeli. L'Assessore poteva distruggere politicamente l'avversario oggi all'opposizione, dimostrando ai Sardi che tutti i problemi relativi all'ambiente che oggi dobbiamo risolvere derivano dal malgoverno passato... e invece lo abbiamo sentito difenderli incolpando la siccità e non la loro incapacità. E in quanto ai fatti, alle iniziative, alle soluzioni... mah? aspettiamo di vedere che cosa succederà... per ora l'assessorato... fa acqua da tutte le parti!
Ma la ciliegina sulla torta è stata l'iniziativa dell'Assessorato alla Programmazione, Bilancio e Assetto del Territorio. Iniziativa che nulla ha da invidiare alle demagogiche iniziative della sinistra: un computer per tutte le famiglie. Bingo! Cosa c'è di meglio per ottenere simpatie e consensi? Peccato che si siano dimenticati (?), fra i requisiti per accedere ai benefici della legge, che consistono in un buono acquisto da 1.000.000, il reddito, così che nella graduatoria risulta averne diritto sia il poveretto che senza il contributo della Regione non potrà mai acquistare il computer, ma anche il ricco che forse ne ha già in casa uno o due. Dai commenti dei cittadini che in ogni Comune fanno capannello davanti alle graduatorie esposte, per vedere se la loro domanda è stata accolta, l'Assessorato alla Programmazione non ci fa una bella figura (ma poi, «che ci azzecca questo Assessorato?», direbbe il buon Di Pietro). Elevatissimo, invece, l'indice di gradimento presso i rivenditori di computer.
E l'Assessore al Personale che fa? Mi chiedo se vi è la consapevolezza dell'importanza strategica di questo Assessorato. Gli equilibri che in anni di governo di Centrosinistra si sono creati fra i funzionari scelti per fedeltà e non per capacità, sono delicatissimi. Di fatto sono loro che gestiscono il potere, sono in grado di accelerare e boicottare qualsiasi progetto e qualsiasi iniziativa; infatti difficilmente un politico è in grado di conoscere dal punto di vista tecnico le difficoltà che spesso i funzionari adducono per "non fare". La vera rivoluzione deve iniziare da qui. Ma per farlo ci vuole coraggio, capacità di mediazione, obiettivi precisi da raggiungere, onestà nel riconoscere meriti e professionalità, pugno di ferro con gli incapaci... tutte doti e qualità non certo appannaggio delle pecore!
Il migliore rimane però l'Assessore alla Pubblica Istruzione, il quale dopo aver letto la proposta avanzata da A.N. sulla costituzione di una commissione che verifichi l'obiettività dei libri di testo scolastici (vedi proposta Storace) fa dire alla stampa che... gli è venuto il mal di pancia! Potremo suggerire una purga... ma sarebbe troppo di mussoliniana memoria!
Si potrebbe continuare, ancora e ancora, riempiendo altre e numerose pagine, distruggendo con una analisi spietata questo Centrodestra, ma non è questo quello che si vorrebbe fare. Altro è il desiderio, altre le aspettative per una terra e i suoi problemi che la maggioranza dei Sardi ha identificato come conseguenza di decenni di malgoverno del Centrosinistra. Altra la speranza di tutti quelli che hanno votato per un cambiamento, e allora viene spontaneo un appello, non al Centrodestra ma alla Destra, affinché abbia la capacità di dimostrare ai Sardi quello che vale, non per il numero delle poltrone che riesce ad ottenere, ma per la forza delle sue idee, quelle stesse idee, quegli stessi programmi che stanno caratterizzando la Destra in Europa.
La fedeltà agli alleati è un valore forte e va rispettato, vista tra l'altro la tradizione italiana non proprio ortodossa, ma quando le scelte degli alleati non possono essere condivise; quando le parole di rinnovamento e cambiamento sono palesemente contraddette da scelte che odorano di Democrazia Cristiana, nell'accezione negativa del termine, e non certo facendo riferimento ai valori di Don Sturzo, allora un partito, una Destra orgogliosa del suo ruolo e della sua differenza deve essere capace di rappresentare una nuova speranza per il popolo sardo, ridando il giusto significato alle parole giustizia e libertà.

EXCALIBUR 25 - marzo 2001

Come era bello... quel muro di Berlino!

In origine non c'era molta differenza fra l'uomo primitivo e gli animali: entrambi uccidevano per procurarsi il cibo e difendere il loro territorio.
Con il tempo la specie umana si è evoluta, diversi i motivi per uccidere e per difendersi, altri i valori da proteggere, ma fondamentalmente non tramutata la necessità di scaricare la propria aggressività, che, se rimaneva nei limiti consentiti dall'etica e dalla morale, era tollerata e giustificata.
L'uomo ha poi imparato a vivere in un gruppo, e i gruppi hanno formato le società, dove la dicotomia personale tra il buono e il cattivo è trascesa dal singolo per investire l'intero mondo dividendolo in due blocchi contrapposti: Destra e Sinistra, Buono e Cattivo, Occidente e Paesi dell'Est, l'un contro l'altro armati, ognuno convinto che fosse la sua la parte buona.
Un muro, simbolo per antonomasia di quella divisione. Ogni pietra di quel muro rappresentava un pezzetto di storia cementata da secoli di guerra, era strumentale all'equilibrio dei singoli e a quello del mondo, permetteva ai due schieramenti contrapposti di scaricare la propria aggressività in un equilibrio, incerto e instabile, ma pur sempre un equilibrio. L'uno non riconosceva l'altro e combatteva per prendere il sopravvento.
Poi improvvisa la tragedia, il muro è stato abbattuto e con esso sono crollate tutte le certezze e tutti gli equilibri.
Destra e Sinistra hanno dovuto confrontarsi senza che fra loro vi fosse più quella divisione, e l'una con l'altra si sono contaminate e miscelate, in una grigia materia che tutto sta invadendo nel silenzio e nell'indifferenza generale: e il terzo millennio sarà quello che vedrà la fine dell'essere umano in quanto tale, nel trionfo più completo dell'edonismo.
Coraggio, lealtà, onestà, spiritualità, umanità, saranno princìpi di vita dimenticati e annullati dall'impegno che ognuno di noi metterà nel conquistare il proprio piacere senza più freni inibitori, senza confini, senza più una Patria; cittadini del mondo, un mondo spietato che per sopravvivere eliminerà nell'indifferenza più totale le specie più deboli.
Ed è tutta qui, la grande sfida che la Destra dovrà affrontare nel terzo millennio, e a tutti noi che crediamo nei valori della vita, della famiglia, della Patria, è affidato questo grande compito: capire che, se il muro è stato abbattuto, non è crollato quello che il muro rappresentava: la divisione c'è ancora, come sempre ci sarà, fra buono e cattivo; bisogna mentalmente ricostruire quel muro, perché la sinistra non esca vittoriosa da questo confronto, perché non finisca di corrompere e corrodere tutto quello che dà un senso ad una vita che nel suo evolversi trascende la materialità, e solo in questa prospettiva può essere degna di essere vissuta.
Non sarà facile, nel degrado morale al quale stiamo andando incontro, ricostruire l'identità dell'uomo, che ha le sue radici nell'amore per la propria famiglia, nell'amore per la propria terra, amore che condiviso con gli altri trasforma una zolla di terra nel concetto sublime di Patria, ma non sarà facile senza più quel muto parlare di nazione.
Ma un uomo senza più una radice affettiva, senza più una identità nazionale, senza più un passato dal quale attingere le sue sicurezze, un uomo incapace di credere in un'Idea, disposto senza esitare a morire per essa, è ancora un uomo?
Ognuno deve trovare la risposta dentro sé stesso, e su questa risposta si gioca un futuro di speranza per tutta l'umanità.

EXCALIBUR 26 - aprile 2001

... Ce ne fregammo...

Non credo possano esserci dubbi sulla mia personale antipatia nei confronti di Berlusconi e dei valori che ritiene di rappresentare, che nel mio decalogo sono disvalori, ma c'è stato un momento, tempo fa, che l'ho amato dal più profondo del cuore, per una frase da lui detta, e che se mantenuta potrebbe finalmente rappresentare il riscatto morale e civile di un pezzo della nostra storia.
Mi riferisco al blitz condotto dalla maggioranza del Parlamento per l'approvazione della legge sul Federalismo e alla posizione del leader di Forza Italia, che ha detto: «... attenzione, se questo è il sistema per cambiare la Costituzione, una volta al Governo potremo modificarla anche noi!...».
E considerando che anche l'Onorevole Gianfranco Fini ha commentato nello stesso modo, è legittimo da parte mia sognare ad occhi aperti.
E il sogno non può che essere quello della abrogazione della XII disposizione transitoria (!) finale della Costituzione: «È vietata la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista».
La legge 20 giugno 1952 n. 645 ha reso tale disposizione operativa, come è noto a tutti gli addetti ai lavori, ovvero a tutti quegli Italiani, nonché camerati, che per cinquant'anni sono stati esclusi e continuano ad essere esclusi dall'articolo 3 della Costituzione, che così dovrebbe essere riscritto: «Tutti i cittadini, esclusi quelli individuati dal regime antifascista come fascisti, hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche», e parimenti dall'articolo 21: «Tutti, esclusi quelli individuati dal regime antifascista come fascisti, hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione».
La sopraccitata legge, all'articolo 1 definisce in maniera chiara ed inequivocabile cosa si debba intendere per riorganizzazione del disciolto partito fascista, ed è riportato nel codice penale a commento dell'articolo 270 (e seguenti), articolo che se fosse stato applicato, avrebbe risolto molti problemi relativi alla legittimazione del P.C.I. e alla sua certosina politica per ottenere il monopolio nel paese ed entrare al Governo: «Chiunque nel territorio dello Stato, promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o comunque a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici e sociali costituiti nello Stato è punito con la reclusione da 5 a 12 anni» (per la ricostituzione del partito fascista la pena è da 3 a 10 anni).
Mi sembra, senza peccare di parzialità, che la dittatura del proletariato e il sovvertimento dell'ordine sociale fosse (sia) uno dei, anzi "il", principio fondamentale del marxismo e del P.C.I.... e allora perché non li hanno arrestati tutti?
Caro Onorevole Berlusconi e caro Onorevole Fini, possiamo finalmente sperare di tornare ad essere compresi in quel «tutti i cittadini» dell'articolo 3 e dell'articolo 21?
Sarà possibile finalmente tornare a parlare di fascismo (non come regime ma come ideologia), che è quanto di più partecipativo e democratico possa esservi (vedi il programma dei Fasci di Combattimento, il Manifesto Futurista e la Carta di Verona).
Sarà finalmente possibile essere liberi di esprimere un'idea, una sintesi ideologica tra il fascismo rivoluzionario e la Repubblica Sociale?
Sarà finalmente possibile dire che il fascismo è un momento storico della destra, la quale è prima e dopo il fascismo, ma che inequivocabilmente lo contiene?
O il vostro parlare di libertà è tutto un bluff, e della libertà di credere in un'idea, di combattere per essa, di lottare per i valori e i princìpi che la contraddistinguono, senza necessariamente finire in galera, o morti ammazzati come i nostri ragazzi, di credere alla partecipazione sociale e economica di tutti i cittadini e categorie, di combattere il capitalismo e le forme aberranti del libero mercato, non ve ne può fregar di meno? Ditelo, così che continueremo, parafrasando una canzone a noi cara, a combattere... «fregandocene un dì della galera»!

EXCALIBUR 27 - maggio/giugno 2001

 

Ma volevamo vincere così?


Credo che il 13 maggio sia proprio finita un'epoca, una storia, un mondo. Le elezioni politiche sono state vinte dal centrodestra... pardon... sono state vinte dall'Onorevole Berlusconi. Il nemico è sconfitto, la Sinistra, finalmente emarginata dalla volontà popolare, si prepara a stare all'opposizione, eppure questo avvenimento epocale non è stato salutato con il dovuto tripudio.
Mi sarei immaginata dieci, cento, mille bandiere tricolori; dieci, cento, mille saluti romani, per riscattare cinquant'anni di frustrazioni, di umiliazioni, di sofferenze. Il ricordo di quello slogan urlato nelle piazze, «il comunismo non passerà!», che costò la vita a tanti di noi, finalmente tradotto in realtà. Ma nulla di tutto ciò è accaduto, i cuori non hanno palpitato, la gioia non è esplosa. Ha vinto il centrodestra, ma la destra non c'è.
Ma volevamo veramente vincere così? Ma veramente i nostri ragazzi sono morti perché i nuovi valori del terzo millennio fossero la globalizzazione, l'esasperazione del libero mercato, la scuola privata?
Ma perché, se tutti noi crediamo e vogliamo una società dove l'imperativo categorico sia l'onestà e la moralità, dove una stretta di mano dovrebbe essere garanzia sufficiente per onorare un contratto, abbiamo fatto vincere un uomo che ha mercificato con un contratto la propria candidatura, un do ut des: tu mi dai il tuo voto, io ti do un'Italia dove vivere in tranquillità e agiatezza.
Ma non è così, l'Italia non è proprietà dell'Onorevole Berlusconi, non la si può comprare, così come non si possono comprare i sogni, le speranze, il comune sentire di tutti noi che crediamo nella forza delle idee, nella trascendenza dello spirito, nell'unica, meravigliosa, irripetibile realtà che è l'essere umano.
Berlusconi ha sconfitto la sinistra, il comunismo è stato fermato dalla sua forza, dalle sue idee, dal suo programma... ma siamo proprio sicuri che sia così? O la Sinistra non era già morta e il comunismo già sconfitto e l'Italia già tanto a destra che Berlusconi o Biancorossi sarebbe stato lo stesso?
Come bene ha sottolineato l'Onorevole Bertinotti, c'è stato un momento, nella storia d'Italia, in cui le sinistre unite hanno raggiunto il 45% dei suffragi; erano ad un passo dal trionfo, ma non si può non pagare il prezzo di un tradimento delle idee, quando falce e martello, simbolo della rivoluzione operaia, vengono sostituiti da una quercia e da una margherita. Il comunismo, svuotato della sua componente marxista e socialista, si è consumato su sé stesso, è diventato un'altra cosa stringendo alleanze con il potere economico.
Le analisi socio-economiche di Marx ed Engels hanno esaurito il loro ciclo storico e non sono più capaci di cogliere ed esprimere i nuovi fenomeni di questa nuova società, sicuramente non più riconducibile alla semplice contrapposizione della lotta di classe.
Tutto ciò per cui la sinistra ha lottato, tutti i valori sui quali gli anarco-comunisti sessantottini volevano costruire una nuova società: l'amore libero, la droga libera, le comuni, l'assenza di ruoli e gerarchie, l'anarchia morale, si sono dimostrati nel tempo disvalori che hanno prodotto devastazioni immense, consegnandoci e consegnando ai nostri figli una società invivibile.
E se è vero che il comunismo con il crollo del Muro di Berlino non esiste più, è anche vero che esiste ciò che esso rappresenta, un'idea dell'uomo che è per antonomasia un'idea dell'"antiuomo": non siamo tutti uguali e non è possibile né giusta una società dove tutti abbiano e ricevano in egual misura, il buono come il cattivo, il capace come l'incapace.
È giusto, è morale, è etico che tutti abbiano le stesse opportunità, ma è giusto morale ed etico che venga premiato chi veramente merita. Ed è su questo concetto che, una volta diradata la nebbia dell'utopistica società ugualitaria, la sinistra è stata sconfitta, e questo concetto era ed è il pilastro fondante dell'ideologia di destra... E allora era proprio necessario aspettare, per vincere, che arrivasse l'Onorevole Berlusconi?

 EXCALIBUR 28 - luglio/agosto 2001

 Ho più volte scritto e raccontato la delusione e la disillusione provata nel seguire il percorso politico della destra in Italia, ma ero fondamentalmente convinta che tanti errori, tante posizioni che giudicavo sbagliate, fossero il frutto della mancanza di una strategia politica e di un atteggiamento eccessivamente reverenziale nei confronti di Forza Italia e del suo leader Berlusconi. Sempre forte è invece rimasta la convinzione che il Partito avesse forti basi culturali e un bagaglio di ideali per i quali i vecchi militanti e camerati avevano combattuto e per i quali e in nome dei quali si stavano preparando a diventare uomini di governo, quel governo che la destra in campagna elettorale voleva: forte, libero e giusto.
La gestione politica regionale, provinciale e le ultime vicende cagliaritane mi hanno tolto questa illusione. Cominciamo dalla Regione...
Non credo si potessero avere dubbi, sulla incapacità, sull'immobilismo, sulla assoluta mancanza di onestà morale degli esponenti politici riciclati dalla vecchia Democrazia Cristiana, abituati ad una gestione personale della "res pubblica" assolutamente indifferenti alle sorti di una terra che considerano solo in termini potenziali di voti, per le proprie aspirazioni personali.
Qualche speranza di cambiamento poteva venire da Alleanza Nazionale, anche perché quasi tutti i suoi esponenti facevano parte del vecchio Movimento Sociale, al quale si fa riferimento, quando fa comodo, (vedi fragorosi applausi nelle riunioni plenarie con tutti i vecchi iscritti) come matrice ideale per poter ostentare, all'interno di Alleanza Nazionale, il marchio di "politico doc". Ovviamente sono agevolati in questa ostentazione i più anziani, perché sembra di capire dai discorsi dei vari esponenti di A.N., che sia molto importante il numero degli anni di iscrizione al partito; è come con le figurine: chi ne ha di più vince. Va da sé che i ragazzi di Azione Giovani hanno già perso.
Credo che fosse legittimo aspettarsi un forte impegno politico, con la presentazione di proposte di legge sui problemi più scottanti che la Regione Sardegna deve affrontare; problemi che sono anche il risultato di cinquant'anni di politica assistenziale che non ha in nessun modo consentito una crescita della Sardegna, né in termini di autonomia, né, tanto meno, di sviluppo economico e sociale.
E invece quello a cui abbiamo assistito, è stata la corsa del Partito alla spartizione delle poltrone degli Enti, che sarebbe una cosa anche giusta in un'ottica di strategia politica, ma che è invece diventato uno squallido affare di bottega, quando la maggior parte dei Consiglieri regionali ha voluto o dovuto premiare i suoi uomini di fiducia, al di là dei meriti e delle capacità personali, in un intreccio di alleanze e favori che poco hanno a che fare con un governo libero, forte e giusto, ma che invece, al contrario, sono spesso un impedimento per una maggiore tutela degli interessi legittimi dei cittadini.
E passiamo alla Provincia, sulla quale non c'è nulla da dire non perché va tutto bene, ma perché proprio non c'è nulla: il vuoto assoluto. Purtroppo la mancanza di attività lascia molto spazio e molto tempo per affinare la pratica, molto in uso all'interno di Alleanza Nazionale, dell'insulto personale, della aggressione verbale e fisica e soprattutto per misurare il peso, sia in termini economici sia in termini di prestigio, delle poltrone ottenute, la cui differente assegnazione comporta che gli amici di ieri diventino i nemici di domani.
Infine ci sono le recenti vicende interne del Partito in occasione delle ultime elezioni, vicende rese pubbliche, fin nei minimi dettagli, e per le quali ci si dovrebbe solo vergognare. I presupposti di base della "rivolta" sono condivisibili al 100%, la buona fede forse no, o almeno non per tutti.
È vero che i risultati elettorali non certo qualificanti per Alleanza Nazionale in Sardegna sono frutto di anni di immobilismo, di una gestione personale del partito, di scelte politiche finalizzate solo ad ottenere la garanzia per la propria rielezione. È vero che era ed è un partito all'interno del quale non si discuteva, dove l'ultimo dei problemi era quello di svolgere una funzione di stimolo, aggregazione e supporto per tutta la Provincia. È vero che dovevi essere amico della persona giusta se volevi un posto al sole. È vero che molti circoli non hanno avuto vita facile, anzi molto difficile, proprio perché non allineati. È vero che è un partito dove la sola idea di indire un congresso sembra una cosa assurda.
Ripeto, tutto ciò è condivisibile, ma se è vero, come non è vero, che l'interesse primario che si vuole tutelare è quello del Partito, allora perché questa battaglia non si è intrapresa anni fa? Perché non ci si è costituiti come alternativa alla Giunta provinciale, soppiantando di fatto il potere che si contestava e che si contesta? E perché al precedente congresso, dopo identici avvenimenti, invece di andare fino in fondo, si è giunti all'accordo, alla spartizione, al quieto vivere, pur di aver tutelati i propri interessi?
Ma sicuramente la proposta più simpatica e politicamente corretta da parte dei dissidenti, con i quali, ripeto, condivido i temi di fondo, è stata quella di un triumvirato per la federazione, in attesa del congresso. Triumvirato che doveva rispettare gli equilibri delle correnti: certo è che fra camerati... fanno bene a fidarsi!
Chissà a cosa assisteremo in vista del prossimo congresso, sempre che gli alti poteri, sia a livello regionale che a livello nazionale, decidano la sua convocazione; chissà quali saranno gli accordi e le spartizioni a cui assisteremo. Sarebbe simpatico compilare in vista di ciò una specie di "toto-alleanze", nel quale vince chi riesce a cambiare più volte alleati e correnti senza nulla perdere sul piano della credibilità personale.
Ho finito, e credo che dopo tutto ciò che ho detto il mio indice di gradimento all'interno di Alleanza Nazionale scenda sotto zero; ma non importa, quello che veramente mi dispiace è che vorrei poter mettere a disposizione del Partito tutto il patrimonio di ideali che ho conservato intatto dentro il cuore e per i quali ho vissuto, ma ho sperimentato che se non aderisci ad una corrente, se non ti specializzi nell'insulto, se non ambisci a nessuna carica o a nessuna poltrona sei fuori dal gioco, sei solo un cretino nostalgico non globalizzato, che ha fatto dei propri ideali un sogno e della propria vita una avventura da vivere in solitudine.

EXCALIBUR 30 - ottobre 2001

Se potessi avere mille lire al mese

 

L'anno 2001 è stato l'anno celebrativo del centenario della nascita di Giuseppe Verdi.
Il nostro Giuseppe Verdi sparirà dalla circolazione, e con Lui sparirà un altro pezzetto della nostra storia, della nostra cultura, del nostro passato, in nome dell'Europa dei mercanti.
Una storia dove il tributo di sangue fu altissimo perché quella meravigliosa terra avesse un unico nome: Italia, ed un'unica moneta: la lira. È infatti datato 17 luglio 1861 il Regio Decreto che diede corso legale alla lira nuova del Piemonte, e che fu da allora chiamata lira italiana.
Gli anni dell'unificazione non furono certamente anni facili per l'economia italiana, e bisognava attendere l'avvento di Mussolini al potere e il 1927 per poter parlare di stabilizzazione monetaria. Alla fine della Grande Guerra, l'Italia si trovava in una situazione finanziaria drammatica, con un enorme indebitamento nei confronti degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, tanto che Keynes scriveva: «Il caso Italia è proprio senza speranza. Si tratta semplicemente di verificare il punto in cui gli Stati Uniti sono disposti a posporre il giorno della bancarotta».
Il mondo internazionale riniziò ad acquistare fiducia nelle capacità dell'Italia, a rimettere ordine nei suoi affari, nel momento in cui Mussolini negoziò un calendario di rimborso relativo ai debiti di guerra nei confronti degli Stati Uniti e dell'Inghilterra. Tale negoziazione fu affidata da Mussolini all'imprenditore Giuseppe Volpi, nel 1925, anno in cui lo nominò Ministro delle Finanze. La trattativa economica di Volpi ebbe successo, e si riaprì la strada degli investimenti di capitali esteri in Italia, preludio al raggiungimento dell'obiettivo fascista di far rientrare l'Italia fra le grandi potenze. È il primato della politica sull'economia, sancito nel famoso discorso del 18 Agosto 1926 a Pesaro: «Difenderò la lira fino all'ultimo respiro, fino all'ultimo sangue, non infliggerò a questo popolo meraviglioso l'onta morale e la catastrofe economica del fallimento della lira».
Dietro la retorica, la sostanza: la rivalutazione e stabilizzazione De Jure di 92 lire per una sterlina, la storica e famosa "quota 90", con la quale il fascismo impose la sua autorità sulla grande industria italiana.
Gli scenari politici ed economici sono oggi profondamente mutati, e l'Europa dei mercanti ha prevalso sull'Europa dei popoli, e della nostra Patria non è rimasto che il nome.
Addio caro Giuseppe, la tua immagine rimarrà ormai solo, come il tuo pensiero... «sull'ali dorate», «sui clivi», «sui colli»... e nel nostro cuore.

 EXCALIBUR 31 - novembre 2001

... Noi invece possiamo vincere

 

Così come era avvenuto alla fine della Prima Guerra Mondiale, anche la Seconda si è conclusa lasciando l'Europa in una situazione di vero e proprio disastro. Unica eccezione gli Stati Uniti: uscivano dal conflitto praticamente indenni, con un apparato economico in piena espansione e pronti ad imporre la loro leadership sul resto del mondo.
Il 5 giugno 1947, il generale George C. Marshall indicò, in un discorso, quali sarebbero state le linee generali attraverso le quali si sarebbero concretizzati gli aiuti all'Europa. Gli effetti del piano Marshall furono imponenti e sancirono l'inevitabile leadership americana.
Bisogna probabilmente ritornare a quegli anni, al clima di clandestinità vissuto dagli ex appartenenti alla Repubblica di Salò, alle città sventrate e bombardate dagli Americani e alle migliaia di civili morti a causa di quei bombardamenti, per comprendere come si radicò in maniera viscerale quell'antiamericanismo che infiammava i cuori di una certa destra.
Come ormai a molti piace dire e riconoscere, la storia viene scritta dai vincitori, e ai vinti non rimane che chiudersi nella propria comunità, trovando nell'isolamento ideologico e culturale la forza per esistere e per non soccombere. Fu in questo isolamento che maturò un monoidealismo antiamericano che nessuno spazio lasciava ad un approfondimento critico, ma che servì come vincolo e legame per un impegno metapolitico. Questo vincolo fu talmente forte e talmente identificativo da trasmettersi intatto alle successive generazioni, che, pur non avendo vissuto sulla propria pelle l'antiamericanismo bellico, si cementò nuovamente intorno a questo monoidealismo.
Se è vero come è vero che la sinistra non è riuscita a rielaborare la caduta del regime comunista, credo sia altrettanto vero che la destra non ha saputo ridefinire il suo ruolo né riconvertire le sue radici attualizzandole ad uno scenario mondiale ormai profondamente mutato. Il grande dibattito sulla globalizzazione avrebbe potuto rappresentare l'occasione per questa ridefinizione, ma si è preferito rimanere su una posizione strumentale di interventismo forcaiolo, che incentrando l'attenzione sull'azione, permette di non interrogarsi sui propri dogmi culturali.
La storia insegna però che non si può sfuggire alle proprie responsabilità, e viene, prima o poi, il tempo in cui è necessario liberarsi dalle proprie pulsioni per ridefinire una realtà culturale che si sviluppi sul terreno delle idee e non dei sentimenti. E il tempo è arrivato l'11 settembre 2001. Un tempo segnato da sangue e dolore, e dove l'America ha mostrato al mondo un volto che proprio noi di destra pensavamo non possedesse: è un popolo unito, forte, con un comune sentire che ha cementato le diversità delle razze per sintetizzarsi in una sola, quella americana, una comunità unica, fondata su quei valori che fanno di un popolo una Nazione; quei valori che noi volevamo solo come nostro appannaggio e nostro fondamento, legati a quella idea fascista di una grande Italia fatta da grandi Italiani. Noi non ci siamo riusciti, loro sì!
Credo che sia giunto il momento per la destra di interiorizzare i suoi dubbi, interrogandosi sul proprio passato, per esprimere quei valori fondanti del proprio essere senza il timore di fallire.
Non è più il tempo per essere "antiamericani" o "filoamericani", dobbiamo avere il coraggio di essere Italiani, dobbiamo esprimere in maniera chiara e forte cosa intende la destra per Nazione, dobbiamo avere il coraggio di dire che non si può permettere ad un'orda di barbari di imporre le proprie regole, dobbiamo chiedere con forza e chiarezza al nostro alleato di governo di intervenire senza equivoci, senza compromessi, dobbiamo qualificare la nostra azione politica, non in difesa dell'America ma in difesa della nostra cultura, del nostro mondo, della nostra civiltà.
È nostro e solo nostro il concetto di libertà inteso come riconoscimento della diversità, e noi siamo diversi dai musulmani, dagli islamici, dalla loro cultura barbara che svilisce l'uomo nella sua essenza per farne solo un automa obbediente alle leggi del Corano; ed è nel momento in cui è l'altro che non riconosce la tua diversità che siamo chiamati a difendere la nostra libertà. E c'è solo un modo per difenderla: con la forza!
Il dialogo, l'omologazione, il culto dell'eguale, le marce per la pace lasciamole alla sinistra, la storia ha già dimostrato il suo fallimento. Noi invece possiamo vincere.

EXCALIBUR 34 - febbraio/marzo 2002

 

Riflettendo riflettendo... quasi quasi mi candido!
Analisi semiseria del dibattito precongressuale di A.N.

- Titolo: "Eutanasia di un partito".
- Scena prima: sempre quella.
- Atto finale: sempre quello.
- Attori protagonisti: sempre quelli.
- Comparse: sempre quelle.
- Sceneggiatura: locale.
- Regia: romana.


Alla proiezione del film congressuale sono invitati a titolo gratuito (ma sono gradite le offerte) tutti gli iscritti al partito, che dovranno votare possibilmente senza sapere cosa stanno votando.
Il congresso provinciale di Alleanza Nazionale si terrà a Marzo, e le aspettative di tutti sono quelle di un radicale cambiamento, ormai vitale per la stessa sopravvivenza elettorale del partito, o meglio... per la stessa sopravvivenza degli eletti.
Numerosi gli incontri, promossi dalle varie correnti e gruppi trasversali, che si stanno organizzando in vista del congresso. Ogni riunione inizia con un doveroso richiamo all'unità del partito, e poi continua con una richiesta ai partecipanti di un contributo personale al fine di migliorare un elaborato di proposta politica e di rilancio organizzativo del partito e del coordinamento provinciale.
Ho scoperto, durante questi incontri, come sia fondamentale l'influenza del tabagismo sull'unità del partito, che, sostenuta a gran voce all'interno del locale, al primo richiamo da astinenza catapulta parte dell'uditorio fuori dal locale, dove l'unità va a farsi benedire, e, in un fiorire di scatti di accendini, dell'unità rimane solo il fumo delle sigarette (qualcuno con l'occasione ha deciso di imparare a fumare). Sono quindi giunta alla conclusione che i non fumatori vogliono l'unità del partito, e i fumatori tramano perché questa unità sia rappresentata dalla loro corrente.
Se fosse vero che un valore fondante del partito è l'unità, l'accordo fra le varie componenti si troverebbe su un nome, possibilmente che non faccia rima con... Orione; ma siccome così non è, i preparativi di tutti riguardano la ricerca per ogni schieramento di un uomo di fiducia che possa insediare altri uomini di fiducia, e qui nasce il problema: è difficile trovarne un numero tale da non temere un altro 25 luglio.
Credo di aver più volte scritto e più volte detto riguardo alla sofferenza che provo nel vedere il nostro patrimonio culturale, ideale e unico disperdersi nel vento dell'opportunismo e nei giochi di potere, dove l'ultima delle preoccupazioni è quella di "vivere" un partito, perché ritengo che ognuno di noi è il Partito e, nell'agire della sua vita, può e deve dimostrare sempre che tutto ciò in cui crede non può che esplicitarsi nelle sue scelte, perché queste possano essere d'esempio a tutti coloro che non sono di destra.
E allora, riflettendo riflettendo, se volessi candidarmi, o se chi come me (e penso molti) avesse nel cuore il senso del partito, perché è il senso della loro vita, cosa si può fare perché questa vita abbia avuto un senso?

P.s.: siccome sono consapevole che sono iscritta ad un partito dove tanti, cameratescamente, temono anche la loro ombra, è meglio che specifichi che la mia è evidentemente una provocazione, non mi devo certamente candidare, perché non ci si può candidare a gestire qualcosa che non c'è più...

EXCALIBUR 35 - aprile 2002

Il centrodestra è al governo, ma la sinistra ha il potere

 Nonostante la consapevolezza che la caduta del Muro di Berlino non ha comportato, ipso facto, la fine dell'ideologia comunista, non posso fare a meno, ogni volta, di rimanere stupita e meravigliata dalla capacità culturale ed organizzativa della sinistra di coniugare qualsiasi avvenimento a proprio vantaggio, usando una dialettica tendente a favorirne l'inquadramento ideologico nei propri assiomi culturali.
Così è stato per il vile e brutale assassinio del Prof. Mauro Biagi.
Considerato che il professore era un collaboratore del governo, e che le Brigate Rosse, fino a prova contraria, sono l'espressione del terrorismo di sinistra, una elementare deduzione logica porterebbe a dire che sia stato compiuto ad opera della sinistra un attentato al governo di centrodestra.
Invece l'equazione dialettica è stata portata in piazza dalla sinistra nel suo aspetto speculare e contrario a quanto dedotto dalla logica comune: l'assassinio di un collaboratore del governo di centrodestra per mano delle Brigate Rosse è stato un "vile attentato contro la classe operaia"!
La velocità con la quale un fatto così grave è diventato strumento di una contestazione di piazza ben orchestrata ed organizzata dovrebbe far riflettere tutti coloro che ritengono di aver vinto solo perché sono al governo. Anche la Democrazia Cristiana era al governo, ma era la sinistra ad esercitare effettivamente il potere, invadendo come un magma oleoso e penetrante tutti i settori della società civile:
- la scuola, attraverso i libri di testo e l'allineamento culturale ed ideologico degli insegnanti;
- il mondo del lavoro, attraverso le cooperative e i sindacati;
- il mondo associazionistico, attraverso una demagogica politica sociale dell'uguaglianza;
- il mondo della cultura, attraverso le case editrici e l'accreditamento degli intellettuali omologati;
- il mondo delle istituzioni pubbliche, attraverso l'assunzione di una classe dirigente asservita alla sinistra e ad essa ubbidiente.
E la rete creata da questo magma è ormai così fitta e resistente da rendere inutile qualsiasi tentativo di penetrarla. Si potrebbe tentare di sostituire a questa "rete rossa" una "rete nera"... pardon... una "rete bianco-nera", ma non possiamo aspettare cinquant'anni, tanti ne ha impiegato la sinistra per tessere la sua.
È necessario invece acquisire consapevolezza della forza del nemico e usare contro di lui la forza numerica della maggioranza parlamentare per imporre tutto ciò che è possibile imporre.
E Alleanza Nazionale, invece di chiedere immediate spiegazioni al premier per le affermazioni dei suoi ministri, farebbe bene a sostenerle, contestualmente ad una presa di posizione contro i sindacati quali strumenti di potere della sinistra, sottolineando il loro ruolo di protettori di lavoratori già abbondantemente tutelati, per schierarsi a fianco dei disoccupati, degli inoccupati e dei famosi "colletti bianchi", oggetto da sempre dell'odio della sinistra solo perché non indossavano la tuta blu dell'operaio.
È giunta l'ora della rivoluzione, e se per rivoluzione intendiamo il rovesciamento dell'ordine prestabilito, rovesciamo l'ordine imposto dalle sinistre.
Non perdiamo questa opportunità storica, potrebbe non essercene un'altra.
Coraggio Presidente Fini, e se ti può aiutare, anche se hai detto che non fu il più grande statista, leggi le Sue parole: «Meglio l'esuberanza di un intelletto che si sente forte per tentare i voli dell'aquila nelle regioni del pensiero, piuttosto che la stitichezza impotente dell'animale dannato a rader la terra. Bisogna esser violenti se si vuole svecchiare le anime e rinnovare gl'ideali della vita» (Benito Mussolini, 1909).

EXCALIBUR 37 - luglio/agosto 2002

Dov'è quell'anima?

 

È una calda serata di luglio. Il mondo sonnecchia e dimentica, inseguendo il miraggio delle vacanze, i ritmi frenetici della propria esistenza. I settimanali dedicano intere pagine ad indagini balneari e i quotidiani allegano inserti dedicati alle vacanze, e, in attesa del nuovo suono della campanella, anche i nostri politici, con il permesso del Cavaliere, stanno organizzando le loro ferie.
Sarebbe anche il tempo di rinnovare la tessera di iscrizione ad Alleanza Nazionale, ma forse, complice il caldo e un maggior tempo per riflettere, scopro di non averne molta voglia. Mi interrogo e mi domando sul senso che può avere iscrivermi ad un partito che non mi rappresenta più e con il quale poco ormai condivido, e del quale spesso mi vergogno.
A volte ho l'impressione che l'unica cosa che ci tiene ancora uniti è la capacità oratoria e retorica dei nostri politici, capaci di esprimere nei loro discorsi concetti e valori travolgenti ed entusiasmanti, spesso persino commoventi, visto che non si dimenticano mai di accennare ai nostri ragazzi morti per difendere un'idea, credendo in un ideale. Ma quanti di questi valori e di questi ideali si realizzano nelle scelte politiche, nelle proposte di legge, nella difesa di ciò in cui crediamo, e per i quali immancabile arriva sempre l'applauso?
L'onorevole Fini ha recentemente affermato che il nostro partito è un partito che ha un'anima.
Ma dov'era quest'anima venerdì 19 luglio a Cagliari, quando il Partito ha organizzato una fiaccolata per commemorare il giudice Borsellino? Era tutto perfetto, ben fatto, commovente, nulla si poteva eccepire. Dov'era allora quell'anima? Dov'erano i Presidenti dei circoli e i loro iscritti, che sempre hanno tanto da dire sul partito che non fa mai nulla, come se loro non fossero il partito. Dov'erano i Consiglieri regionali, quelli comunali e i tanti rappresentanti del partito, più o meno conosciuti, ma sempre presenti quando possono guadagnarci qualcosa in termini di immagine personale, e sicuramente non si guadagna nulla tenendo una fiaccola in mano, anonimi e confusi fra gli altri, senza una tribuna dalla quale emergere ed ottenere consensi.
Dov'era quell'anima quando si doveva impedire al Cavaliere di ridurre una Patria in una azienda economica dove i più ricchi raccontano ai più poveri la favola della globalizzazione che crea posti di lavoro, dimenticandosi però di dire che sono solo posti ad alta specializzazione.
Dov'era quell'anima quando avrebbe dovuto difendere l'articolo 18, quando avrebbe dovuto affermare con forza che ciò che conta nella vita di ogni uomo è la possibilità di costruirsi una vita degna di essere vissuta, dove attraverso il lavoro ogni uomo possa esprimere sé stesso, senza diventare un mercenario a pagamento, che si vende al miglior offerente.
Dov'era quell'anima quando si sarebbe dovuto parlare di partecipazione e non di azionariato, di fedeltà, di impegno e di etica del lavoro.
Dov'era quell'anima quando Fini si è incontrato con Bossi e hanno partorito insieme una leggina che esprime ciò che la gente vuole: la difesa della propria sicurezza. Ma questo non è un valore, è solo politica spicciola... Valore sarebbe stato parlare di autodeterminazione dei popoli, di sviluppo sostenibile, di incontri e progetti con i Paesi del sud che si affacciano sul Mediterraneo, a prescindere da ciò che piace a Bush e al suo leccapiedi Berlusconi.
Dov'era quell'anima quando il Cavaliere, tronfio e gongolante, annunciava al mondo l'ingresso della Russia nella N.A.T.O.. Il mondo intero sotto il dominio economico dell'America, in nome del quale e per accedere al quale i popoli rinunciano alla loro libertà.
Dov'era quell'anima? La vorrei incontrare per dirle di fermare questo degrado, per dirle che stiamo andando incontro ad un mondo senza più speranze, senza più sogni, senza più illusioni, dove il senso della vita si risolve nella capacità di consumare subito e in fretta tutto ciò che e possibile consumare.
Vorrei che quest'anima urlasse di dolore quando si parla di clonazione, di eutanasia, di aborto, vorrei che fosse capace di fermare questa barbarie, per ritrovare noi stessi e perché non si arrivi a raccontare ai nostri figli: c'era una volta... adesso non c'è più.

 

EXCALIBUR 47 - novembre 2007

Noi, gente di destra
Ironia sulla classe dirigente "latitante" di A.N.

Noi gente di destra, un po' bizzarra, passionale, nostalgica, siamo abituati ad attribuire alle parole il significato reale che esse vogliono rappresentare.
È normale quindi che quando sentiamo parlare di "colonnelli" il pensiero vada immediatamente ad una gerarchia militare, o anche a quell'antica e strana vicenda di un colpo di stato, forse pensato, forse tentato e mai riuscito.
Ma oggi, a noi gente di destra, ci hanno detto che per colonnelli dobbiamo intendere lo staff fedele al capo, ovvero al nostro (nostro?) Presidente Gianfranco Fini.
Nell'ordine gerarchico militare, il grado immediatamente superiore a quello di colonnello è quello di generale; non me ne voglia Gianfranco Fini, ma obiettivamente di generale ha ben poco, a meno che seguendo l'ottica precedente di attribuire un significato reale alle parole, si voglia intendere per "generale" nulla di specifico, in questo senso allora la rappresentazione è esatta: non c'è nulla di più generale del pensiero di Gianfranco Fini, nessuna specificità, nessuna linea politica, nessuna posizione precisa, se non quella relativa ai suoi fini strategici non meglio definiti.
Ritornando ai nostri colonnelli, un merito bisogna però riconoscergli: sono bravissimi nel dire sempre "signorsì", e questo esclude l'altra idea di un colpo di stato o meglio di un colpo di presidenza. A parte questa loro capacità di obbedire senza replicare, a guardarli bene, vengono in mente altre immagini.
Pensando a Gasparri, l'immagine che sovviene è piuttosto quella di un colonnello greco sempre pronto, se chiamato, a passare in altre caserme, ma a quanto pare il buon Generale Berlusca, ha colonnelli in grande abbondanza e non se ne fa nulla di quelli di Alleanza Nazionale.
La Russa assomiglia di più ad un militare tedesco, e quando si arrabbia sembra proprio un sergente delle S.S..
Alemanno invece richiama alla mente un colonnello francese avvezzo a bere champagne e mangiare caviale, e visto il suo abbandono del ruolo di leader della destra sociale, ci sembra più esatto non parlare della Francia ma della Repubblica di Vichy.
Si potrebbe continuare, ma il materiale umano di cui parlare è talmente insignificante da non suscitare nessun pensiero e nessuna analogia.
Bene ha fatto il buon Storace, che, illuminato dalla lettura della settimana enigmistica, è rimasto folgorato dalla pagina dei rebus e delle sciarade e ha risolto con la fuga il quesito del cambio di vocale:
"La svolta di xyxxxx (Fiuggi)
Non gli era mai piaciuta
E così da A.N. xxxxx (fuggì)
per non dover ancora
sempre dire signorsì".
Che cattivi che siamo noi gente di destra, sempre a sparlare del partito e dei suoi massimi rappresentanti, dimentichi dei sacrifici e delle rinunce che hanno dovuto sopportare per far scendere il consenso intorno a questo partito di destra (?). Per non parlare poi di quanto devono faticare per tenere a bada nelle realtà locali i piccoli ras, i quali, consapevoli che l'avanzamento di carriera non viene fatto per merito ma per anzianità, stanno spendendo tutte le loro energie e le loro risorse per mantenere il più a lungo possibile il loro ruolo di ras locali, nella speranza molto remota di diventare colonnelli... Pardon, il termine "ras" evoca un periodo che non fa parte della storia della destra, e quindi si dovrebbe trovare un altro termine per definirli, ma non mi sovviene.
E a noi gente di destra, popolo bizzarro, nostalgico e passionale, che crediamo ancora che valga la pena di combattere per difendere un'idea, quale futuro ci aspetta? Non posso che rispondere con i versi del sommo poeta:
«Ei fu... siccome immobile, dato il mortal respiro»...

EXCALIBUR 50 - ottobre 2008

 

 ... 10 anni fa
Ricordi, delusioni, speranze, amarezze: è il tempo che fugge: 10 anni di Excalibur

 Questo è il numero 50 di Excalibur e 10 sono gli anni trascorsi dal primo numero. La sua storia è una storia di passioni, di sentimenti, di ideali; una storia che trova posto nell’archivio delle speranze, accanto a quello delle delusioni.
Ci eravamo incontrati di nuovo per caso, gli ex giovani del Fronte della Gioventù, con i capelli brizzolati, i visi segnati dai dolori e dalle gioie della vita, ognuno di noi era andato per la sua strada, aveva costruito la sua vita, il suo lavoro, la sua famiglia, ma bastò poco per riaccendere le antiche passioni, bastò quella parola pronunciata con il cuore e che rappresentava tutto ciò per cui avevamo combattuto e in cui avevamo creduto. Ci siamo guardati negli occhi e il cuore di ognuno di noi chiese all’altro “camerata come stai?”. E un brivido caldo avvolse i nostri sogni nascosti, le nostre speranze deluse.
Decidemmo di fondare un’associazione il cui nome era per noi il filo che ci univa al passato, un nome che ai più nulla diceva: “Associazione Vico San Lucifero”. Quello era il nome della strada dove un tempo ormai lontano c’era la sede del Fronte della Gioventù.
L’antica militanza, non poteva che farci decidere subito di fondare una rivista dove fosse possibile parlare e discutere per riaccendere quel filo di passioni che sembrava ormai sopito e narcotizzato dall’obiettivo della legittimazione politica. E il nome scelto per quella rivista non poteva che essere Excalibur, come Re Artù potevamo estrarla dalla roccia per combattere e impedire che il mondo diventasse un amalgama, senza senso, senza distinzioni, senza ideali.
Ci abbiamo provato.
Ogni numero ci vedeva impegnati fino a tarda notte, la stanchezza di una giornata di lavoro sulle spalle, a piegarlo, a imbustarlo, stanchi ma contenti di stare insieme per ricordare tutti quegli episodi e tutte le battaglie contro quelli che una volta si chiamavano comunisti.
Ma se quello era il filo che ci teneva uniti, non ci sentivamo nè “nostalgici” né “reduci”, anzi al contrario volevamo impegnarci per una politica attiva e moderna, che non fosse solo quella della corsa alle poltrone: nessuno di noi ne aveva e quindi nessuno di noi aveva paura di perderla. Ma non basta un cuore puro per combattere un sistema che nulla più concede alle passioni e agli ideali; l’associazione si è sciolta o meglio è confluita in un’altra associazione, i vecchi ragazzi si sono per la maggior parte dispersi e il cuore di Excalibur non è più quello che ha permesso a tanti di noi di sperare ancora.
Oggi la destra ha vinto, nessuno più ci chiama fascisti, la legittimazione è completata. Ma in cambio abbiamo pagato un prezzo altissimo, abbiamo rinunciato ai nostri sogni al nostro passato alla nostra identità, siamo nuovamente degli ex, ex fascisti, ex Movimento Sociale, ex Alleanza Nazionale e già nella sua radice ex-calibur.
Oggi come allora, non ho altri strumenti per esprimere il mio dissenso, se non la parola e ancora una volta dopo tanto tempo, una parola scritta su questa rivista. Tante le altre parole che sento, l’appello dei nostri dirigenti a rimanere uniti, l’ovazione di consenso per il riconoscimento dell’abilità politica di Gianfranco Fini, che aveva visto giusto, dicono, quando ha scelto in piena solitudine di far parte del Pdl. Avevano visto giusto i suoi colonnelli a non opporsi, ognuno di loro è stato premiato.
Ma io non sono d’accordo, lo so che non ha senso continuare a credere in qualcosa che non c’è più.
Lo so che oggi la politica “ è un’altra cosa”, non fanno altro che dirmelo.
Lo so che è più importante stare al governo, costi quel che costi. Lo so, ma non l’accetto.
Perché credo che la vita sia un attimo di luce sospesa fra le tenebre, un attimo che ci è concesso per lasciare un segno, per ricordare che un uomo non è fatto di programmi, di ici da non pagare, di emigrati da espellere.
Un uomo è ciò in cui crede, è ciò per cui combatte e ciò per cui muore, non importa se non sei al governo, importa che tu possa scrivere una pagina di quella storia che domani verrà letta dai nostri figli e dai nostri nipoti. E probabilmente non sapranno neanche che cosa vuol dire fascismo, non capiranno cosa vuol dire vivere per un ideale ma forse chiederanno ai loro padri perché quella spada è tornata nella roccia, e smarriti non sapremo che cosa rispondere.
Forse Excalibur aspetta un altro Re Artù.

EXCALIBUR 62 - dicembre 2010

Per Fini una condanna senza appello
Il lento cammino verso il nulla

È il 1946: nasce il Movimento Sociale Italiano: Msi. Una fiamma tricolore come simbolo. Eravamo fascisti, o almeno così ci etichettavano, e uccidere un fascista non era un reato.
Morire per questo motivo era considerato un onore, e ai funerali di chi aveva dato la sua vita per difendere un ideale, vibrava nel cielo, forte, chiaro, e pieno di rabbia, il nostro "presente" al camerata scomparso.
Abbiamo vissuto così per tanti anni, perseguitati, calpestati, esclusi dalla società civile, ma uniti da quel filo indistruttibile che faceva di tutti noi una comunità di camerati.
Solo chi lo ha vissuto può capire cosa nasce dentro un cuore, cosa lega un uomo ad un altro uomo, cosa significa credere e combattere per una idea: non erano parole al vento come lo sono oggi, ma l’impegno di una vita, della propria vita, quell’impegno che ci aveva portato a diventare militanti della Giovane Italia e poi del Fronte della Gioventù: eravamo giovani e arditi, diversi dai nostri coetanei che non capivano che il nostro impegno non era dovuto solo alla fiamma dell’adolescenza ma era la nostra vita, era ciò per cui volevamo vivere, era ciò in cui abbiamo creduto.
Non era solo un sogno: come dice Veneziani, i sogni rimangono nel limbo della fantasia, mentre per noi era la realtà, quella realtà in cui volevamo vivere e combattere.
Gianfranco Fini ha ereditato questo immenso patrimonio di cuori e di passioni, e l’unica cosa che è stato capace di fare è stata quella di cancellare quella fiamma, e con lei sono stati cancellati migliaia e migliaia di uomini che per anni l’hanno difesa dagli attacchi di tutta la sinistra e di tutti quelli che si dichiaravano antifascisti e quindi degni di appartenere alla società civile. Ma è civile una società che ammazza il proprio fratello?
Ma il compagno Fini, ormai divenuto antifascista doc, non si è accontentato solo di spegnere quella fiamma, ha anche venduto i nostri cuori e le nostre anime. Però non è l’unico colpevole: con lui sono colpevoli anche i famosi colonnelli, quelli che come noi erano cresciuti nella Giovane Italia e nel Fronte della Gioventù.
La storia insegna che quando un generale dà un ordine sbagliato, i colonnelli si ammutinano e prendono il comando. Ma i nostri colonnelli non l’hanno fatto, hanno solo preso le poltrone che Berlusconi gli ha dato in cambio della loro fedeltà. È però inutile continuare a parlarne, la nostalgia fa male al cuore, la sconfitta debilita il corpo e il tradimento uccide l’anima.
L’impossibilità di lottare per ciò in cui si crede è quanto di peggio possa succedere ad un uomo, soprattutto se quest’uomo è un uomo di destra. Perché vivere significa lottare per ciò in cui si crede, significa avere la viscerale convinzione che la materialità è destinata a finire, ma il ricordo di un uomo rimane nel cuore dei vivi per la sua onestà, per il suo coraggio, per la sua specificità e per essere stato degno di chiamarsi "uomo".
Questo è stato il senso della nostra vita e della vita di tutti quei camerati che l’hanno persa per difendere ciò che eravamo.
A tutti loro chiediamo perdono.
Ma non esiste perdono per un delitto così grande, se non il giudizio della storia.
L’unica cosa che ci rimane sono i ricordi, ricordi che nessuno potrà portarci via, neanche quell’uomo, se tale si può chiamare, che ha venduto le nostre anime ad un altro uomo con il quale nulla avevamo e abbiamo in comune, gli ha consegnato i nostri ideali, i nostri valori, le nostre vite, e in cambio abbiamo ricevuto un ritornello pubblicitario: «Per fortuna che Silvio c’è».
Quando l’ho sentito per la prima volta, il cuore si è gonfiato di dolore e ho pianto: era la fine di un sogno, come dice Veneziani, o, forse ancora peggio, la fine di una vita.

 

 





dedicato a Isabella

Questo sito è dedicato alla memoria di Isabella Luconi, nata a Messina il 20 Agosto 1957, morta a Cagliari il 15 Maggio 2012. 

 

Isabella, trasferitasi nel 1972 a Cagliari da Ancona, città di origine della sua famiglia, si è diplomata al liceo Scientifico Pacinotti di Cagliari.

 

Ha conseguito il diploma di Assistente Sociale nel 1990 a Cagliari, la laurea in Scienze Sociali a Trieste nel 2004, e la laurea in Scienze Politiche a Cagliari nel 2011.

 

Ha partecipato a alcuni concorsi letterari, in Sardegna e nella Penisola, classificandosi sempre nelle prime posizioni.

 

Impegnata politicamente dall’età di 14 anni, ha militato nel Fronte della Gioventù, nel M.S.I.-D.N. e in Alleanza Nazionale.

 

E’ stata Assistente Sociale nel Comune di Assemini dal 1992.

Sposata nel 1979 con Roberto Aledda, hanno avuto un figlio, Marco.

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© Roberto Aledda robertoaledda@tiscali.it