isabella luconi
isabella luconi

 

 

UNA IPOTESI DI LAVORO

 

IL DISTRETTO SOCIALE

Ambito territoriale : le ex USL

 

 

allargare gli orizzonti

 

A cura di Isabella Luconi

 

Una ipotesi di organizzazione di un piano di zona

IL LIVELLO DECISIONALE

 

 

IL COMITATO DEI SINDACI

Ne fanno parte tutti i sindaci e gli assessori ai servizi sociali dei comuni dell’ambito territoriale

Il presidente della comunità montana

Il direttore del distretto sanitario ASL 8

L’assessore ai servizi sociali della Provincia

 

 

L’ organismo così composto non ha personalità giuridica,ed quindi regolato attraverso l’accordo di programma, nomina il suo presidente ed individua il comune capofila e il sindaco che lo rappresenta avrà funzione di richiedente per la firma dell’accordo

Il comitato dei sindaci stabilisce gli obiettivi della
pianificazione e in coerenza con le linee guida del piano regionale dei servizi sociali e sanitari decide le priorità di intervento.

Ogni rappresentante del comitato indicherà l’operatore che farà parte del gruppo di coordinamento tecnico interistituzionale, e il consulente responsabile del gruppo.

Il comitato verrà aggiornato periodicamente e regolarmente sul processo in itinere attraverso schede valutative ed indicatori di risultato.

L’accordo di programma rappresenterà lo strumento operativo dove saranno stabilite le rispettive competenze e le risorse sia umane che finanziarie per il raggiungimento degli obiettivi

L’accordo di programma della durata di un anno avrà funzione di strumento valutativo ed operativo per un eventuale successiva scelta della forma gestionale (consorzio fra i comuni).

 

IL LIVELLO TECNICO GESTIONALE

 

IL GRUPPO DI
COORDINAMENTO TECNICO INTERISTITUZIONALE.

Ne fanno parte:

I funzionari
responsabili dei servizi sociali e gli operatori sociali dei comuni dell’ambito
territoriale

I responsabili e gli operatori del servizio
materno-infantile, del servizio psico-sociale, del centro igiene mentale, del
NIL.

I coordinatori dei
centri servizi per l’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate dei
comuni dell’ambito territoriale.

Il funzionario
responsabile e un operatore sociale della provincia

Un rappresentante
della comunità montana.

 

 

Tre gli step
iniziali per la organizzazione del progetto:

STEP FORMATIVO

  • momento formativo di setting d’aula per
    condividere concetti strumenti e metodologia.
  • Momento operativo nel quale il gruppo
    intersettoriale utilizza quanto appreso in aula
  • Riproposizione alla riflessione congiunta di
    quanto prodotto nel momento operativo.

STEP DEL NET WORK

   >  Utilizzo di strumenti e tecniche per
l’analisi del   reticolo

        
interorganizzativo.

  • Esplorazioni delle reti formali e non formali
    del territorio di appartenenza degli attori del gruppo
  • Costruzione della mappa di rete
  • Analisi del contenuto culturale della rete

STEP INDIVIDUAZIONE DELLA
METODOLOGIA

Conoscenza della comunità

Pianificazione obiettivi 
generali strategici specifici

LIVELLO DEL
PERCORSO PARTECIPATO

IL GRUPPO TECNICO DI RETE

Ne
fanno parte tutti i rappresentanti dell’associazionismo,del volontariato, del
clero, degli organismi consultivi,ecc

 

 

Il gruppo tecnico di rete partecipa allo step formativo,
ha il compito di predisporre delle schede valutative dei bisogni espressi dal
territorio,

ed indicare secondo le proprie competenze le modalità di
attivazione della sussidiarietà orizzontale.

I rapporti fra gli organismi interessati e fra questi e
gli Enti istituzionali

Verranno regolati da protocolli d’intesa

 

IL CONSULENTE COORDINATORE

Viene nominato dal comitato dei sindaci

Ha funzioni di coordinatore delle attività del gruppo
tecnico e del gruppo di rete.

Cura tutti i rapporti le relazioni e le attività di
concertazione

Supporta il comitato dei sindaci

Risponde della pianificazione degli obiettivi e dei tempi
indicati per il loro raggiungimento.

Cura la comunicazione sia interna che esterna.

 

LE MACRO AREE DI INTERVENTO DEL PIANO DI ZONA LEGGERO:

Segretariato attivo:
individuazione e divulgazione di tutte le informazioni e di tutte le risorse e
le possibilità di accesso ai benefici e
i diritti ai quali può accedere il cittadino.

Studio delle modalità di
divulgazione in modo capillare delle informazioni.

Studio e integrazione progetti
UE

COMUNITARIO

Coinvolgimento di tutti i settori della
politica per un approccio integrato alla formazione di una percezione positiva
dell’ambiente di vita e di lavoro dei membri della comunità.(edilizia pubblica,
ambiente, educazione permanente…)

DOMICILIARE

Gestione integrata di tutti i
servizi che hanno come obiettivo una migliore qualità della vita per tutti i
cittadini, con priorità programmatoria per le fasce deboli.

RESIDENZIALE

Razionalizzazione,in termini
di risorsa accessibile ed eventualmente riconvertibile,di tutte le strutture
pubbliche residenziali e semiresidenziali presenti sul territorio.

EMERGENZIALE

Creazione di un Servizio
Operativo Sociale di pronto intervento

PREMESSA

La legge
328/00 e le linee guida del piano regionale dei servizi sociali e sanitari,
indicano in modo inequivocabile la necessità di superare culturalmente un
concetto di welfare residuale e assistenziale per costruire un welfare society.

Costruire
insieme significa che ogni attore di questo percorso deve rinunciare ad una
parte della sua centralità, in un’ottica di scambio e di reciprocità.

Il problema
che si pone è come realizzare l’integrazione istituzionale, gestionale e
professionale tra le diverse organizzazione che producono, in base ad un
mandato istituzionale, servizi separati, e soprattutto come farlo senza che il
lavoro in comune diventi una semplice sommatoria di servizi, ma che al
contrario la nuova metodologia gestionale sia in grado di implementare
l’esistente, in una logica partecipata ed integrata.

Questa
logica prevede che vi sia un accordo sul ruolo e sugli scopi di ogni ente
partecipante, un accordo sui programmi congiunti, un accordo su come devono
essere espletati i compiti da parte di ogni membro della rete e soprattutto una
condivisione dei criteri di valutazione del lavoro di ogni appartenente alla
rete.

L’obiettivo
non è creare una struttura-rete come modello statico ma un modello pensato come
un processo in continua trasformazione, che implica il passaggio dal concetto
di organizzazione al concetto di organizzarsi, facendo però sempre riferimento
alla centralità della persona, e a quella che potremmo definire la dimensione
del noi, che è quella di una comunità aperta, con i suoi valori la sua
specificità la sua cultura, che però non possono essere imposti e avere come
conseguenza l’allontanamento e l’emarginazione di chi non li condivide o di chi
si trova in una situazione di bisogno sia esso dovuto a problemi   socio-familiari ed economici sia esso dovuto
a problemi di salute.

Tutto ciò
che viene usato per arrivare all’obiettivo di creare un legame sociale di solidarietà
e sussidiarietà in una comunità aperta, sono metodi e strumenti di lavoro che
come tali vanno cercati individuati elaborati, ma anche modificati dopo aver
riflettuto, dopo aver ascoltato dopo aver capito, con la speranza che il terzo
millennio non sia la fine di ogni
umanità ma una nuova dimensione culturale dove l’essere umano possa vivere una
buona vita.  

LE MOTIVAZIONI METODOLOGICHE
DELLE SCELTE ORGANIZZATIVE

Ciò che culturalmente è
necessario fare, come abbiamo visto nella premessa, è inserito in quadro
normativo, che disciplina tutta la legislazione in tema di organizzazione della
tutela sociale e sanitaria ed in particolare:

-      l’art 3 septies del D.L 229/99

-     la legge 328/00

-      l’art 3 del dpcm 14/02/02

Legislazione che però deve
essere adeguata alla realtà della Sardegna e non può quindi essere applicata
senza quei correttivi iniziali di indirizzo organizzativo che si spera poi nel
tempo di poter modificare

Due gli aspetti della realtà socio sanitaria sui quali dover riflettere:

Il primo riguarda il Distretto Sanitario, realtà praticamente inesistente dal punto di vista operativo.

Il secondo la consapevolezza, verificata nella realtà organizzativa di questi ultimi anni, di un forte campanilismo comunale che non favorisce certamente una cultura della
integrazione, né è in grado di sviluppare una cultura della cittadinanza.

Questi i motivi fondamentali per i quali si è preferito configurare una ipotesi di lavoro che abbiamo chiamato Distretto sociale, e al quale si pensa possano far parte i comuni
della ex USL 20, che hanno il vantaggio di essere geograficamente vicini e con
realtà socio sanitarie molto simili.

Mentre, per il secondo aspetto
relativo al campanilismo, era inutile elaborare una ipotesi di lavoro che
prevedesse fin dall’inizio una gestione integrata di tutti i servizi.

Bisogna invece iniziare ad
imparare a lavorare insieme. A condividere le stesse metodologie di lavoro,
imparando a rinunciare alla propria centralità.

Per questi due fondamentali
motivi si è pensato di iniziare con l’accordo di programma come forma
gestionale,di semplice attuazione, e inizialmente in grado di rispettare le
singole autonomie,solo dopo aver sperimentato questa integrazione ed
individuato i nodi critici da superare sarà possibile ipotizzare altre forme di
gestione.

 

Se il livello politico ha
necessità di tempo per imparare a condividere le scelte, anche il livello
tecnico ha la stessa necessità, quindi il primo step ipotizzabile era proprio
quello della formazione, fondamentale per imparare ad usare lo stesso
linguaggio e sperimentare nuovi approcci
metodologici, non sempre presenti nel bagaglio tecnico culturale di tutti gli
operatori, o quanto meno presenti relativamente alla specificità del proprio
settore.

L’ultimo livello che è quello
fondamentale per la realizzazione di una vera integrazione partecipata, è una
realtà che nella maggior parte dei casi consiste in un cronico gap tra quanto
enunciato a livello teorico e quanto realizzato a livello pratico.

Coinvolgere il terzo settore,
sostenere il quarto settore con l’obiettivo di trasformarlo in risorsa che si
autogestisce, parlare di comunità aperta sono sicuramente valori e concetti
condivisibili e auspicabili, rimane però la difficoltà del “ come farlo “, per
questo si è ipotizzato innanzitutto la partecipazione allo step formativo e una
attività iniziale che valorizzi il ruolo di questa parte del welfare society, e
cioè la loro diretta conoscenza dei bisogni del territorio, e le loro risposte
a questi bisogni, risposte che hanno il
vantaggio di non subire i pesanti condizionamenti burocratici amministrativi,
che sono prerogativa degli enti Istituzionali.

Tutto questo lavoro
organizzativo ha però necessità di essere coordinato nel suo complesso da una
persona che si assuma la responsabilità del raggiungimento degli obiettivi, in
quanto uno dei fattori negativi delle attività di gruppo è quello di non
sentire in modo diretto la responsabilità dell’agire concreto.

La scelta finale di iniziare a
lavorare insieme per macroaree di intervento, oltre che a rispondere ai nuovi
indirizzi di politica sociale, fondati sui valori dell’universalità e della
cittadinanza e quindi del superamento del concetto di assistenza per categoria,
permette di superare inizialmente le difficoltà sopra esposte iniziando un percorso
che da semplice e attuabile senza grossi sacrifici per nessuno possa portare un
domani ad una reale e operativa gestione integrata.  

dedicato a Isabella

Questo sito è dedicato alla memoria di Isabella Luconi, nata a Messina il 20 Agosto 1957, morta a Cagliari il 15 Maggio 2012. 

 

Isabella, trasferitasi nel 1972 a Cagliari da Ancona, città di origine della sua famiglia, si è diplomata al liceo Scientifico Pacinotti di Cagliari.

 

Ha conseguito il diploma di Assistente Sociale nel 1990 a Cagliari, la laurea in Scienze Sociali a Trieste nel 2004, e la laurea in Scienze Politiche a Cagliari nel 2011.

 

Ha partecipato a alcuni concorsi letterari, in Sardegna e nella Penisola, classificandosi sempre nelle prime posizioni.

 

Impegnata politicamente dall’età di 14 anni, ha militato nel Fronte della Gioventù, nel M.S.I.-D.N. e in Alleanza Nazionale.

 

E’ stata Assistente Sociale nel Comune di Assemini dal 1992.

Sposata nel 1979 con Roberto Aledda, hanno avuto un figlio, Marco.

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© Roberto Aledda robertoaledda@tiscali.it