isabella luconi
isabella luconi

SOSPETTI

 

 

Tutto era cominciato qualche mese prima, in silenzio, lentamente, senza farsi annunciare, Lucia non si era resa conto di quello che stava succedendo, pensava sempre sorridendo quanto fosse piena e bella la sua vita, un marito adorabile, due figli ancora più adorabili, un lavoro che le piaceva, una bella casa, nessun problema economico, tante amiche e amici con i quali trascorrere i giorni di festa.

 

Anche Lei non era male, non proprio bella ma interessante, con quegli occhi neri e i capelli ancora più neri, e ogni volta suo marito le diceva che assomigliava alla notte, a quelle notti di fine estate, calde e intense, traboccanti di promesse e speranze.

 

Roberto era suo marito, un gigante buono, bello come può essere bello un uomo buono, con quello sguardo dolce e quelle spalle così larghe dove Lei aveva trovato sempre rifugio e dove aveva pianto quando non riusciva a capire quello che le stava succedendo.

Si erano sposati giovanissimi e adesso erano liberi di vivere la loro vita insieme, tutti e due i figli frequentavano l’università e non avevano certo più bisogno di ninna nanne per addormentarsi.

 

Luca e Matteo i suoi due figli, così diversi così belli così suoi, Luca assomigliava a lei, nero di capelli riflessivo e dolce affrontava la vita con serenità senza mai scoraggiarsi, si era iscritto all’università, in scienze del servizio sociale, aveva questa idea di voler salvare il mondo, fin da piccolo era stato così, sempre pronto a difendere i più deboli e ad arrabbiarsi quando qualcuno faceva loro del male.

 

Matteo era invece il ritratto del padre, i capelli castani, gli occhi verdi, forte come una roccia cedeva però, di fronte ad una carezza, lui aveva scelto architettura, voleva ridisegnare il mondo come lui lo avrebbe voluto.

 

Si prendevano in giro con il fratello, Matteo diceva che avrebbe costruito bellissime case per tutti i poveri e Luca contento gli diceva che avrebbero chiamato con il suo nome la via dove sarebbero andati ad abitare tutti i poveri della città : Via Matteo Girardi.

 

Allora Matteo si arrabbiava perché diceva al fratello che le vie si intitolano solo quando uno è morto, e che Luca sarebbe morto povero e solo, perché tutti i poveri del mondo gli avrebbero portato via tutto e ogni volta finivano per tirarsi i cuscini del divano, rincorrendosi intorno al tavolo della cucina con Luca che gridava: tu morirai povero e io verrò ad assisterti, e ridevano contenti per quell’affetto e per quell’amore che sapevano raro e prezioso in un mondo di famiglie sbagliate e di genitori separati, mentre loro erano cresciuti nell’ amore e nella dolcezza.

 

Lucia cercò di non pensare più ai ragazzi, oggi lei e Roberto avrebbero festeggiato 25 anni di matrimonio, doveva prepararsi per quella serata speciale: un salto dal parrucchiere, uno al negozio di pelletteria, dove avrebbe acquistato una valigetta in pelle per suo marito, era proprio ora che mandasse in pensione quella che aveva, tutta graffiata e consumata, anche se Roberto sosteneva che quella borsa era una parte della sua vita, e racchiudeva dentro di se i suoi i successi e le sue sconfitte.

 

Poi avrebbe fatto la spesa, voleva un menù speciale da servire su di una tavola speciale come facevano vedere alla televisione: tante candele accese, bicchieri in cristallo e posate d’argento, un sottofondo di musica e tanta tenerezza.

 

Lucia si sentiva piena e appagata, nulla di più poteva desiderare dalla vita.

 

Si mise il cappotto, e si avviò saltellando come sua abitudine verso la porta d’ingresso.

 

Che strano non si apriva, accidenti deve essersi incastrata di nuovo la serratura pensò Lucia, pazienza passerò dalla finestra, tanto abitiamo a pian terreno, niente e nessuno le avrebbe impedito di fare quello che aveva in mente. Accidenti neanche la finestra si apriva. Improvvisamente, come spesso le accadeva, tutto intorno a lei era diventato bianco, il suo divano le sue poltrone, tutto era bianco, anche il tavolo era diventato bianco, e la cucina non c’era più. Oddio! chi era quell’uomo che era entrato in casa sua, anche Lui era bianco, capelli bianchi, barba bianca e anche il vestito era bianco. Perché voleva che prendesse un bicchiere d’acqua, non aveva sete, sentiva solo un nodo d’angoscia salirle verso la gola, aveva paura, non riusciva a capire, si chiedeva il perché di quello che le stava accadendo e con gli occhi fissi dentro quelli magnetici dell’uomo in bianco cominciò a sorseggiare il bicchiere d’acqua e non si accorse di essersi addormentata sul suo divano.

 

“Accidenti devo aver dormito almeno due ore” Lucia si alzò in fretta e furia, e diede inizio al suo programma di festeggiamenti.

 

Mentre la parrucchiera le lavava i capelli, improvvisamente le comparve di nuovo la visione di quell’uomo in bianco, così gentile con il suo bicchiere d’acqua. Devo aver sognato pensò Lucia, ma la sensazione di realtà era molto forte e piano piano si stava insinuando un sospetto, prendeva corpo l’idea che ci fosse qualcosa di vero nelle sue visioni, ecco quella era l’unica nota stonata della sua vita, le visioni o “i sogni” come li chiamava Roberto, ma quel sospetto continuava ad insinuarsi nella sua mente, le provocava un orrore immenso, una angoscia senza tempo e senza illusione, si sentiva naufragare in un mare di incertezze e le veniva solo voglia di urlare. Si agitò sotto le mani esperte della parrucchiera, ma non riusciva a fermarla, che strano non poteva muovere i polsi, li sentiva pesanti come se fossero legati a qualcosa.

 

Che sciocca che sono pensò Lucia deve essere quell’inizio di artrite che mi ha diagnosticato il medico, a questo pensiero si rilassò e chiese alla parrucchiera di farle le mèche, bionde però e non bianche.

 

La giornata continuò a trascorrere tranquilla, acquistò la valigetta e fece la spesa: caviale, ostriche crude e champagne, si era fatta ora di tornare a casa, che strano però, aveva come la sensazione di non esserne mai uscita, ma Lucia scacciò quel pensiero dalla sua mente e sorridendo cominciò a preparare la cena, doveva essere una cena speciale, quella per il loro anniversario.

Ma Lucia continuava a sognare di trovarsi in una stanza bianca con un uomo vestito di bianco che le parlava, ma lei non capiva cosa diceva.

 

Parlava di fare uno sforzo per tornare alla realtà, le dava sempre bicchieri pieni di acqua e ogni volta, nonostante l’angoscia di quel sogno lei si svegliava più serena e più tranquilla, in effetti non le dispiaceva sognare queste cose.

 

Però, perché adesso si stava agitando? Perché quel pensiero ridicolo che il sogno era reale, che la sua vita era quella stanza bianca e non la sua casa piena di amore?

 

Qualcosa stava penetrando nella sua mente arrivando al suo cuore, un sospetto orribile, un angoscia insopportabile, lei non voleva quella vita bianca, voleva i suoi figli e il suo amato compagno, cominciò a piangere piano, lentamente, poi i singhiozzi diventarono sempre più atroci e più disperati, e poi di nuovo quell’uomo in bianco, che le accarezzava i capelli, che sussurrava il suo nome spronandola a resistere, ma a cosa doveva resistere, non capiva tutto era confuso insopportabile, no, non voleva bere ancora acqua avrebbe voluto annegare nell’acqua, per non sentire più quell’urlo disumano che le martoriava l’anima, nel lento trascorrere di un infinito senza tempo.

 

Un tempo dove Lucia non sapeva di essere schizofrenica, ma sapeva con certezza che quel mondo in bianco non le piaceva e non lo voleva.

 

Così in silenzio e con l’aiuto delle sole mani, fece a strisce il lenzuolo di quel letto bianco, lo legò alle sbarre della finestra e poi intorno al suo collo, lanciò lontano la sedia bianca e cominciò a dondolare piano piano senza far rumore, e sempre senza far rumore si allontanò dalla vita, da quella vita in bianco che lei non voleva.

dedicato a Isabella

Questo sito è dedicato alla memoria di Isabella Luconi, nata a Messina il 20 Agosto 1957, morta a Cagliari il 15 Maggio 2012. 

 

Isabella, trasferitasi nel 1972 a Cagliari da Ancona, città di origine della sua famiglia, si è diplomata al liceo Scientifico Pacinotti di Cagliari.

 

Ha conseguito il diploma di Assistente Sociale nel 1990 a Cagliari, la laurea in Scienze Sociali a Trieste nel 2004, e la laurea in Scienze Politiche a Cagliari nel 2011.

 

Ha partecipato a alcuni concorsi letterari, in Sardegna e nella Penisola, classificandosi sempre nelle prime posizioni.

 

Impegnata politicamente dall’età di 14 anni, ha militato nel Fronte della Gioventù, nel M.S.I.-D.N. e in Alleanza Nazionale.

 

E’ stata Assistente Sociale nel Comune di Assemini dal 1992.

Sposata nel 1979 con Roberto Aledda, hanno avuto un figlio, Marco.

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© Roberto Aledda robertoaledda@tiscali.it