isabella luconi
isabella luconi

LA SERA DEL DI’ DI FESTA

 

Lo specchio era proprio lì davanti a Lei, era lì da anni sempre uguale, né bello né brutto, uno specchio come tanti altri, o forse no, non era come tutti gli altri, perché quelli delle sue amiche con gli anni diventavano più belli, ma il suo non voleva proprio sentirne di cambiare, la sua faccia era sempre uguale, la sua bocca sempre storta, l’occhio destro sempre chiuso e l’orecchio sempre piegato.

 

Quando era più piccola glielo aveva chiesto tante volte di cambiare, con gentilezza, cercando di non farlo arrabbiare, lo puliva tutti i giorni, lo lucidava e gli sussurrava senza che nessuno la sentisse, di impegnarsi un pochino per diventare più bello, ma Lui, sempre muto, sempre dispettoso, rimaneva sempre uguale.

 

Nella solitudine della sua camera giocava con lui, una volta aveva cercato di imbrogliarlo mettendogli davanti una foto della sua mamma, ma lui furbo non si era fatto trarre in inganno e quando Lei lo aveva guardato dritto dritto negli occhi, Lui le aveva prima sorriso e poi il sorriso era diventato una smorfia, e la smorfia era diventata una lacrima e la lacrima era scivolata sulla fotografia della sua mamma, ma la sua mamma non poteva asciugarla, perché in cielo, le aveva spiegato il suo papà, gli angeli non hanno fazzoletti.

  

Quando riusciva a non guardare lo specchio e si metteva a pensare alla sua mamma si sentiva strana, era come se quel peso che le opprimeva il cuore e che non l’abbandonava mai, improvvisamente sparisse, si sentiva leggera leggera, tanto leggera da volare via, via dallo specchio, via dalla sua camera, via dal suo dolore per sentire ancora il soffio di quel bacio leggero che si posava sulla sua fronte sul suo volto sulle sue labbra, come era felice quando si specchiava nei suoi occhi azzurri e come si sentiva sicura e protetta perché la sua mamma era più forte dello specchio.

 

Ma la sua mamma adesso non c’era più, mentre l’orribile specchio era sempre lì, sempre zitto, sempre brutto, sempre cattivo.

 

Ma oggi non voleva pensare a lui, ma a quello che il suo papà gli aveva detto mentre pranzavano nella piccola cucina, dove non c’erano specchi.

 

Domani era la festa del Santo Patrono del paese, e come ogni anno ci sarebbe stata la processione e il lungo cammino dei fedeli fino alla spiaggetta dove sorgeva la piccola chiesa.

 

All’inizio non capiva perché il suo papà glielo dicesse, perché non si ricordasse della promessa che gli aveva fatto: qualunque cosa succedesse, qualunque avvenimento potesse accadere, loro due ogni domenica mattina andavano a salutare la mamma e le portavano tanti fiori freschi e profumati e quando spirava quel vento leggero leggero se chiudeva gli occhi la sentiva vicino a se e non capiva perché ogni volta che chiedeva al papà di prendere la mano della mamma, come quando passeggiavano nella via principale del paese, tutti e tre insieme, lui la guardasse e si mettesse a piangere, scuotendo la testa e dicendole che non era possibile, perché la mamma non c’era più, non capiva perché dicesse così, lui non aveva uno specchio brutto e cattivo come il suo.

 

Ma c’era una novità, per la prima volta il giorno prima della processione ci sarebbe stata nella piazza del piccolo paese una fiera, e il Parroco aveva deciso che la processione avrebbe avuto luogo nel primo pomeriggio per dare la possibilità a tutti i paesani di andare a vedere la fiera e trascorrere una giornata di festa. Sarebbero andati anche loro, e avrebbero acquistato un vestito nuovo per lei, un vaso colorato per sistemare i fiori davanti alla fotografia della mamma, e una pipa nuova per il papà. E forse aveva aggiunto il papà era anche ora di comprare un nuovo specchio per la sua cameretta.

 

A quella notizia, il mondo intorno a lei era diventato improvvisamente silenzioso, non sentiva più il rumore della tristezza ma solo il fremito di una nuova speranza, finalmente sarebbe finito quel tormento, non avrebbe più visto quell’immagine così brutta, quella bocca così storta quell’orecchio così piegato, forse ma non osava sperare tanto, anche l’occhio si sarebbe aperto, non era azzurro come quello della sua mamma ma andava bene lo stesso.

 

Guardò incerta e timorosa lo specchio, fissandolo ancora una volta dritto dritto negli occhi, lo staccò dal gancio, lo avvolse in una coperta, e lo mise sotto il letto, domani lo avrebbe seppellito nel giardino in un angolo lontano dalla sua cameretta, dove non arrivava la luce del sole, e dove non avrebbe potuto più fare del male a nessuno.

 

Erano appena rientrati, il vestito appoggiato sopra il letto non aspettava che di essere indossato, prima però doveva appendere il nuovo specchio, era cosi bello tutto colorato, e con tanti fiori intorno, alla sua mamma sarebbe piaciuto molto.

 

Lo tolse con delicatezza dalla carta velina e lo appese al muro evitando di guardarlo, prima voleva indossare il vestito nuovo e anche il cerchietto azzurro che il negoziante le aveva regalato, tutta la gioia di quella giornata di festa era lì dentro il suo cuore, per afferrare quella gioia bisognava solo guardare il nuovo specchio dritto dritto negli occhi, e così fece con il sorriso leggero che scaturiva da quella tenerezza che sentiva in fondo al cuore, ma Lui era sempre lì brutto e cattivo, la bocca sempre storta l’occhio sempre chiuso e il cerchietto azzurro che pendeva in modo ridicolo da una parte perché l’orecchio non lo reggeva.

 

Perché mamma è così cattivo? Perché? Diglielo tu allo specchio di diventare bello, diglielo tu, ti prego mamma, viene qui vicino a me, fammi specchiare nei tuoi occhi azzurri, fammi sentire ancora bella.

 

Domani è festa, ma nessuno potrà spiegare perché quel piccolo cuore non ha più voluto combattere e nessuno saprà di chi era la mano pietosa che ha disteso la bocca in un tenero sorriso, che ha chiuso quegli occhi innocenti e ha messo un fiore per coprire quell’orecchio piegato. Nessuno potrà sentire il soffio di quel vento leggero che accompagna la processione e capire che è un giorno di festa anche per quell’anima dolce che potrà finalmente specchiarsi insieme alla sua mamma nell’infinito azzurro dell’amore.

dedicato a Isabella

Questo sito è dedicato alla memoria di Isabella Luconi, nata a Messina il 20 Agosto 1957, morta a Cagliari il 15 Maggio 2012. 

 

Isabella, trasferitasi nel 1972 a Cagliari da Ancona, città di origine della sua famiglia, si è diplomata al liceo Scientifico Pacinotti di Cagliari.

 

Ha conseguito il diploma di Assistente Sociale nel 1990 a Cagliari, la laurea in Scienze Sociali a Trieste nel 2004, e la laurea in Scienze Politiche a Cagliari nel 2011.

 

Ha partecipato a alcuni concorsi letterari, in Sardegna e nella Penisola, classificandosi sempre nelle prime posizioni.

 

Impegnata politicamente dall’età di 14 anni, ha militato nel Fronte della Gioventù, nel M.S.I.-D.N. e in Alleanza Nazionale.

 

E’ stata Assistente Sociale nel Comune di Assemini dal 1992.

Sposata nel 1979 con Roberto Aledda, hanno avuto un figlio, Marco.

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© Roberto Aledda robertoaledda@tiscali.it