isabella luconi
isabella luconi

Ugo Foscolo e il Romanticismo,

poteva essere una camicia nera?



 

relazione di Isabella Luconi in un corso di formazione politica

 

INTRODUZIONE

 

 Come sempre quando affrontiamo le tematiche storico-culturali, dobbiamo confrontarci con gli storici (?) comunisti ed in particolare con quelli che scrissero dopo la resistenza, facendo esclusivo riferimento non già alle fonti storiche, che sono le uniche in grado di annoverare chi scrive come storiografo, ma bensì facendo riferimento, soprattutto per quanto riguarda il Risorgimento, ad Antonio Gramsci, secondo il quale esso fu una occasione perduta, una rivoluzione passiva alla quale la maggior parte degli Italiani non prese parte. Secondo la loro interpretazione, perché di questo si tratta, i governi liberali che si succedettero dopo l’unità d’Italia, governarono facendo leva sulla forza, e non già sul consenso popolare. Se pur ne riconoscono gli aneliti di libertà, lo fanno per sottolineare la rottura operata dal fascismo, considerato come una forza coercitiva staccata dalla realtà sociale e culturale dell’Italia e che prese il potere dando vita ad un periodo storico definito nella interpretazione crociana , come una parentesi storica.

Né meglio si può dire , della interpretazione data dagli storici cattolici, annoverati, con grave errore ideologico, come storici di destra, che fecero proprie molte delle critiche sostenute dai post- gramsciani, ma ovviamente con un intento ben diverso che era quello di enfatizzare il ruolo della Chiesa, sostenendo che in molte Regioni a prevalenza cattolica attaccare la chiesa e le sue istituzioni ha significato attaccare il popolo.

De-enfatizzare l’unificazione d’Italia, sia da destra che da sinistra ha anche permesso in tempi più recenti a molti contemporanei, di abbracciare la tesi regionalistica sul risorgimento sostenuta dalla Lega e per essa da Gianfranco Miglio, infatti secondo Lui l’Italia settentrionale, se non avesse annesso il Sud e non avesse dovuto fare i conti con l’inerzia burocratica amministrativa di Roma avrebbe dato vita ad uno stato prosperoso e potente, e sempre secondo il suo illuminato parere i Lombardi sarebbero stati meglio sotto gli austriaci che non sotto i piemontesi.

Se è vero come è vero, che in nessun caso possiamo parlare di storiografia, ma di interpretazioni storiche, quello che ci proponiamo con questo breve excursus storico è quello di mettere la camicia nera ad Ugo Foscolo, nel senso di interpretare da Destra ciò che è stato l’humus culturale, storico, sociale ed economico del risorgimento e del romanticismo, facendo riferimento ai periodi precedenti, che in nessun caso possono essere considerati avulsi dalla realtà politica che ha generato l’unificazione d’Italia e ha scritto con il sangue l’indelebile parola Patria.

Patria e non nazione, patria intesa come espressione semantica di un sentimento, che sopravvive alla globalizzazione e alla cui condivisione precludiamo l’accesso alla sinistra, con buona pace del revisionismo storico.

  

UNA BREVE CRONOLOGIA : DAL MEDIOEVO AL RISORGIMENTO

 

IL MEDIOEVO

La storiografia moderna colloca il medioevo come il periodo di tempo che va dal 476 d.c., cioè dalla fine dell’impero romano al 1453 d.c.,coincidente con la fine dell’impero romano d’oriente, o per altri al 1492, anno della scoperta dell’America, a cui si fa risalire l’inizio dell’età moderna, tale data è condivisibile se il presupposto è quello di aver modernizzato l’America in senso europeo, e non viceversa.

Da un punto di vista culturale, la classificazione è rimasta quella data dagli artisti e letterati

Umanisti , che alla luce della rinascita culturale di cui si sentivano protagonisti, hanno distinto nell’itinerario della civiltà umana tre fasi:

 -         l’antichità classica che aveva espresso i più alti valori umani e culturali

-         una età di decadimento e impoverimento,

-         una età (la loro) in cui erano rinati gli ideali già espressi dalla civiltà classica

Per lungo tempo questa classificazione, è stata la chiave di lettura del medioevo visto come un periodo oscuro e barbarico , durante il quale la lingua latina fu abbandonata e sostituita dal volgare, l’arte gotica considerata come arte barbarica, e anche come l’epoca in cuila Chiesasi allontanò definitivamente dalla parola di Cristo per compromettersi con il potere politico, affermando la mondanità e l’autoritarismo del papato.

Bisogna attendere il ‘700, per assistere ad una nuova riflessione sul medioevo, e questo nuovo approccio lo dobbiamo a Ludovico Antonio Muratori (1672-1750):

 “ Ecclesiastico, bibliotecario nell’ambrosiana di Milano e nell’Estense di Modena, si adoperò per dotare l’Italia di una raccolta di fonti storiche, simile a quelle che già possedevano, o andavano costituendo, le altre nazioni europee. Il suo intento aveva però caratteri originari: In Italia non esisteva come in Francia,uno stato unitario cui richiamarsi per farne il riferimento coordinatore della storia nazionale e d’altra parte la cultura accademica continuava a considerare la civiltà antica non solo il paradigma di ogni civiltà, ma anche la tradizione culturale propria dell’Italia.

Muratori prese le distanze da queste concezioni e sostenne che l’Italia pur non essendo politicamente unita, era comunque ambito di una tradizione comune a tutti gli italiani, la antica madre verso cui dovevano coltivare sentimenti di reverenza e che questa tradizione si era formata non nell’antichità, troppo remota e sostanzialmente diversa dal presente, ma nel medioevo. Muratori era giunto a questa convinzione non solo per la conoscenza che aveva degli orientamenti storici nelle altre nazioni europee, ma anche per aver constatato, attraverso le sue ricerche erudite, che molte delle situazioni giurisdizionali ed istituzionali del suo tempo risalivano direttamente al medioevo. L’indagine su quel periodo gli si presentava dunque come scoperta delle origini del mondo moderno.

In sostanza il Muratori fu tra i primi a descrivere il rapporto tra medioevo ed età moderna in termini di progresso della civiltà, avviatosi già durante il medioevo.”

Di segno completamente opposto, la tesi di Voltaire, secondo Lui il medioevo iniziato con le invasioni barbariche, che spazzarono via l’antica civiltà, era l’epoca delle barbarie e delle superstizioni. La religione e la chiesa avevano avuto un ruolo di primo piano come cause di oscurantismo e oppressione. Lo scopo della lunga descrizione fatta da Voltaire dell’epoca medioevale era quella di costruire la raffigurazione esemplare di un atteggiamento di spirito e di una condizione di vita di cui l’umanità si doveva liberare per raggiungere rapporti e ordinamenti fondati sulla ragione e la libertà.

Nella cultura tedesca il medioevo divenne invece al contrario un mito, in Germania infatti alla fine del Settecento, la concezione illuministica venne messa apertamente in discussione e sostituita da una originale e diversa interpretazione del periodo e del suo significato nella storia dei popoli europei.

Una espressione storiografica di questa tendenza si trova nell’opera di Juster Moser (1720-1794), che rievocò la storia del popolo tedesco dalle più antiche testimonianze rintracciabili nelle opere di Cesare e Tacito fino a tutta l’età medioevale, contro l’illuminismo francese, per cui le differenze fra i vari popoli del genere umano non sarebbero altro che il prodotto del clima e dei sistemi giuridici, al contrario Moser sostenne che ogni popolo era una individualità storica originale, caratterizzata da un patrimonio spirituale espresso nella lingua, nei costumi e nel diritto, ogni popolo aspirava all’onore politico nei rapporti con gli altri, e lo difendeva con le sue attitudini militari. Il medioevo si presentava dunque a Moser come epoca storica di riferimento per la coscienza nazionale tedesca.

L’idea dello spirito nazionale come essenza morale, politica culturale dei popoli ebbe la sua consacrazione mistico-filosofica da Johann Gottfried Herder, che non solo valse a differenziare la tradizione culturale tedesca dall’illuminismo francese, ma offrì il fondamento ideale dell’opposizione politica contro l’occupazione della Germania da parte di Napoleone”*

 

* Paolo Delogu “introduzione allo studio della storia medioevale “ ed Mulino 1994

 

IL MEDIOEVO E LA CAVALLERIA: EXCALIBUR E’ LA NOSTRA SPADA?

 

Non possiamo certamente ignorare in questa breve sintesi le origini della cavalleria, sia quelle leggendarie, che tanto affascinano il popolo della destra (e non solo) sia l’origine storica, sicuramente barbarica,riconducibile alla Europa cristiana e druidica.

Ci piacerebbe pensare che i nostri deputati eletti, oltre al giuramento di fedeltà alla repubblica, in cuor loro pronuncino quello dei cavalieri della tavola rotonda:

 “Giuro di non ricorrere mai alla violenza senza un giusto scopo, di non abbassarmi mai all’assassinio e al tradimento. Giuro sul mio onore di non negare mai misericordia a chi ne facesse richiesta, e di proteggere fanciulle gentildonne e vedove, facendone valere i diritti senza mai sottoporle alla mia lussuria. Prometto di non battermi mai per una causa ingiusta o per vantaggi personali”

Le origini leggendarie, le troviamo ben descritte nel “ libro dell’ordine della cavalleria” del catalano Raimondo Lullo, che così scriveva:

“Vi fu in origine, un evo barbaro, nel corso del quale scomparvero dal mondo la lealtà, la solidarietà, la verità e la giustizia e per cui dilagarono slealtà, inimicizia ingiuria e falsità provocando errore e disordine nel popolo di Dio. Fu necessario allora restaurare la giustizia perduta attraverso il timore “ e perché ciò potesse avvenire tutto il popolo fu diviso per migliaia, e da ogni mille ne fu scelto uno che si distinguesse dagli altri per gentilezza d’animo, lealtà , saggezza e forza. A quest’uomo così straordinario, in grado di prevalere su tutti per nobiltà, coraggio, tenacia e devozione ai suoi principi, fu dato per compagno quello che tra tutti gli animali è il più bello, il più veloce il più pronto ad affrontare qualsiasi sacrificio, il più adatto a servire l’uomo, cioè il cavallo, e per questo conclude Lullo fu detto CAVALIERE”

Le origini storiche, ovvero il passaggio dalla leggenda alla storia lo segnano, afferma Franco Cuomo, giornalista e scrittore dei nostri tempi, i paladini di Carlo Magno. Se si volesse stabilire una data di trapasso dal mito alla realtà, la si dovrebbe individuare nella notte di Natale dell’800, allorquando Carlo Magno cinge con la benedizione del pontefice Leone III la corona di sacro romano imperatore. Solo a quel punto la cavalleria esce dal sogno, e tutto quello che era retaggio di fiaba, diventa materia storica.

Interessanti sono le affermazioni di Cuomo sul mistero della cavalleria, quando sottolinea come negli studi intorno all’esoterismo della cavalleria, ricorra sempre il cenno al “ mistero” che essa sottintende. E questo perché, come tutti i misteri esoterici non è rilevabile, in quanto non è comprensibile a chi non la conosce per esperienza diretta.

La lettura del fenomeno cavalleresco conserva una straordinaria attualità, dovuta alla sopravivenza dei valori che ne caratterizzano il decorso, e che nessuna rivoluzione nessun sommovimento della storia ha mai rimosso, di fatto dall’immaginario popolare.

Facendo nostra questa affermazione, forse possiamo comprendere l’enorme successo della trilogia del signore degli anelli, anche se i tempi sono maturi per il popolo della destra e i suoi eletti di passare dalla leggenda alla realtà.

EXCALIBUR *

 La maledizione degli uomini è che essi dimenticano” quando nel 1981 il mago Merlino pronunciava questa frase sugli schermi cinematografici, è come se trasferisse nella sensibilità della tarda modernità novecentesca tutto l’incanto del sogno celtico… la leggenda di Re Artù è considerato il massimo contributo dei celti alla letteratura e all’immaginario occidentali.

Uscito dal medioevo, è con l’ottocento romantico che il ciclo arturiano colpirà di nuovo la fantasia degli artisti. A metà secolo sarà il poeta britannico Alfred Tennyson a collegare idealmente il leggendario mondo di Artù con la realtà politica del suo tempo. E Richard Wagner ne farà la cornice di due sue opere il Tristano e il Parsifal. Era l’inizio di una riproposizione moderna della materia di Bretagna, che si protrarrà per tutto il Novecento.

E secondo il filologo Michael Muller, tutti i rifacimenti moderni dell’antica materia di Bretagna, contengono un messaggio politico più o meno palese. Facendo infatti riferimento ad una “mentalità di tipo fascista”, lo studioso tedesco non solo sottolinea le valenze politiche della versione Wagneriana del mito dei cavalieri della tavola rotonda, ma ne specifica la sottintesa visione del mondo: sullo sfondo di tempi corrotti viene delineata l’immagine di un mondo sano, che è tale in quanto viene governato da una figura esemplare, da un patriarca che accentra su di sé ogni qualità, eroe guerriero e ultima istanza morale, saggio giudice e custode dei valori religiosi, pacificatore all’interno e difensore della patria da ogni nemico esterno. Come spiegare, d’altra parte il ricorso, a questo immaginario simbolico da parte di precisi ambienti politici? Vorremmo – scriveva Fabio Pellegrino sulla rivista giovanile di Destra “La Mosca Bianca” subito dopo l’uscita del Film Excalibur – che questo ritorno al Medioevo non fosse una moda passeggera in attesa che ne nascano altre, una fuga dalla realtà perché nauseati dal tempo contemporaneo, ma una visione del mondo, uno stile di vita, dove i caratteri per così dire eroici del medioevo vengano presi ad esempio e interiorizzati per resistere allo squallore di oggi.

 

* Luciano Lanna e Filippo Rossi “ Fascisti immaginari” ed. Vallecchi 2003

 

IL SISTEMA FEUDALE

 Il feudalesimo è una forma di organizzazione politica del territorio e di strutturazione economica della società che segna il periodo storico successivo alla caduta dell’impero romano e precede lo sviluppo della borghesia artigiana e mercantile, sviluppo che si ha a partire dall’anno mille in Italia e in Europa. Il feudalesimo come fenomeno storico, ha la sua fase più intensa nel periodo che va dal secolo IX al secolo XIII, quando il potere dei successori di Carlo Magno veniva sempre più indebolendosi.

Il feudalesimo deriva da una situazione economica che si era andata determinando già negli ultimi secoli dell’impero romano, quando la terra era diventata la principale fonte di ricchezza e l’agricoltura l’attività predominante. In una società che aveva bisogni molto modesti e conduceva una vita assai semplice il lavoro era ridotto quasi a niente; il commercio a causa delle frequenti guerre e delle strade malsicure languiva e come conseguenza del diradarsi dei rapporti commerciali, si riduceva l’importanza della moneta, che si faceva sempre più rara. In queste condizioni i grandi proprietari terrieri possedevano tutta la ricchezza ed esercitavano un predominio incontrastato, mentre chi aveva poca terra, o non ne aveva affatto, dovette mettersi alle dipendenze dei potenti e ridursi a coltivare i loro fondi, ottenendone in cambio una piccola parte dei frutti.

Con il mutare della situazione economica anche l’organizzazione politica andò assumendo un nuovo aspetto. I Re Carolingi, pur essendo riconosciuti come la suprema autorità, in pratica avevano bisogno dell’aiuto finanziario e militare dei signori più potenti, tanto laici quanto ecclesiastici.

Per assicurarsi questo indispensabile aiuto, i Re concessero in beneficio ai vari signori vaste terre di loro proprietà, che si chiamavano appunto feudi. Colui che li riceveva, in cambio del diritto di amministrarli, veniva nominato nel corso di una solenne cerimonia, vassallo del Re, titolo che lo impegnava, con un giuramento di fedeltà, a fornire al re aiuto militare e appoggio finanziario, secondo le necessità.

A loro volta, in modo simile, signori meno potenti si mettevano alle dipendenze dei vassalli: costoro si chiamavano valvassori, e quelli ancora meno potenti che si mettevano al servizio dei valvassori si chiamavano valvassini,(stirpe non estinta e attualmente presente negli entourage dei partiti). Nasceva in tal modo, quella diretta subordinazione di un uomo ad un altro uomo su cui si fonda il feudalesimo, ma nasceva anche quel sistema protettivo di cui raramente si fa cenno nei libri di storia. Questa organizzazione determinò a poco a poco, l’indebolimento del potere regio. Infatti il Re assegnando in beneficio il feudo al suo vassallo, gli concedeva anche di esercitare all’interno di esso certi diritti chiamati immunità, che aspettavano normalmente al Re, come la riscossione delle imposte, l’amministrazione della giustizia, la facoltà di chiamare gli uomini alle armi.In tal modo ciascun vassallo disponeva di un potere quasi illimitato sul suo feudo e faceva uso delle immunità soprattutto a proprio vantaggio, e talvolta addirittura contro l’interesse del Re.

Il territorio dello Stato, che sulla base del principio per cui il potere del sovrano derivava direttamente da Dio, continuava nel suo insieme ad essere considerato proprietà del Re, era ormai in realtà smembrato in un gran numero di proprietà feudali grandi e piccole che i signori governavano senza nessun controllo da parte del sovrano.

La diffusione della signoria territoriale fu la causa più diretta della lenta erosione del potere imperiale, insieme alla Costitutio de Feudis del 1037, ovvero un editto di Corrado II il Salico, con il quale si riconosceva l’ereditarietà dei feudi.

Il processo verso l’ereditarietà dei feudi finì per deformare l’istituto stesso, da qui derivò il predominio dell’aspetto beneficiario rispetto a quello vassallatico, favorendo il particolarismo a scapito della autorità imperiale. Fu appunto per tentare di contenere questa tendenza, che gli imperatori della casa sassone, tra la fine del secolo X e l’inizio dell’XI, fecero ampie concessioni di diritti feudali ai vescovi, i quali, non avendo una discendenza a cui trasmettere il titolo, non creavano ostacolo alla assegnazione del feudo e alla disponibilità di esso da parte dell’impero. Inoltre , avendo il Vescovo la residenza nella città della quale era pastore, poteva tenere a freno nel territorio circostante, il potere del feudatario laico che comandava invece dal suo castello nella campagna.

Fu da questa contrapposizione ( città-campagna) che prese avvio la rinascita cittadina e la conseguente economia di mercato, contro l’economia chiusa ed autosufficiente del castello e della corte feudale.

Infatti, sulla base dei diritti e dei privilegi feudali, i cittadini chiamati ad assistere il proprio vescovo nella amministrazione pubblica, crearono pian piano quella organizzazione cittadina che poi, non senza contrasti, divenne il libero comune ( tra l’inizio del secolo XI e l’inizio del secolo XII)

Sopraffatto dai comuni nell’Italia centro Settentrionale, il feudalesimo sopravvisse nel meridione, dove fù contenuto dall’autorità centrale per la presenza di ampie terre demaniali accanto a quelle infeudate.

 

LA NASCITA DEI COMUNI*

Se è vero, come molti affermano che nel medioevo non c’è Italia e che l’idea di uno stato unitario non sfiora la nostra penisola, è tuttavia altrettanto innegabile che nello sviluppo delle numerose città entrate in rapporto e in lotta fra di loro, tese ad espandere la loro potenza anche lontano e su zone, dopo il medioevo, destinate ad uscire dalla storia italiana, si può registrare dal basso, e quasi allo stato magmatico il desiderio graduale di conquistare una unità legislativa, culturale e linguistica come Dante ad esempio la intese. E allora nel possesso di una religione appartenuta alla stragrande maggioranza, nell’altrettanto complessiva articolazione di istituzioni politiche, giuridiche e amministrative, deve pur scorgersi un movimento anche se lento e sotterraneo che in tempi lunghi cospirò

alla fondazione di una futura nazione che, sebbene non delineata appariva quasi disponibile a mettere radici.

Il sistema feudale, aveva significato che per secoli si era affermato il principio della maggior sicurezza della vita nelle campagne e della partecipazione al feudo laico o ecclesiastico, in conseguenza della ereditarietà e della frantumazione terriera, si generò una nuova tendenza volta all’abbandono dei campi e al ritorno nelle città.

Servi, contadini, artigiani si riversarono nei centri abitati, ove alla fine del secolo XI, nacquero i Comuni in cui sempre più si cercarono sicurezza e lavoro. La rinascita delle industrie e dei commerci consentì allora la formazione di una nuova classe sociale costituita in prevalenza di negotiatores, i mercanti, che con la prosperità acquistarono nuova consapevolezza di sé, connessa ad una nuova pratica della cosa pubblica.

Così i Milites e Mercanti formarono il ceto dei boni homines, le categorie emergenti che coordinate dal vescovo o dal conte, amministrarono le città.

La prima magistratura comunale assunse il nome di Consolato, da qui la nascita del Comune consolare, (Padova 1139, Parma 1149, Pisa1081, Siena 1085, Arezzo 1098, Genova 1098, Milano 1081) Nel nuovo ordinamento il potere risiedette nel Parlamento o Arengo, l’assemblea generale dei Cives, ovvero di tutti i cittadini dotati di poteri pubblici. Il Parlamento nominò i consoli assistiti nelle funzioni governative da un ristretto Consiglio di anziani. Alle origine il Comune fu dominato dai nobili, mentre da ogni carica venne escluso il popolo dei salariati, dei coloni, degli artigiani residenti nel suburbio , alle porte della città   Dopo i primi decenni all’interno dei Comuni nacquero tensioni sociali fra i gruppi di potere cittadini e si rese pertanto necessaria la nomina dei podestà forestieri estranei agli interessi comunali. Inoltre fino a quando i ceti minori furono esclusi dal Comune, al Governo delle arti si contrappose l’organizzazione delle Corporazioni artigiane, che poi entrarono nella amministrazione con l’elezione del Capitano del popolo spesso nominato in contrasto con il Comune Majus governato dal podestà. La nomina a vita di Capitano del popolo condusse alla formazione della signoria..

Nella seconda metà del XIV secolo i comuni Italiani che rappresentarono complessivamente un momento di grande progresso politico economico e sociale, in seguito alla crisi introdotta dalla peste, dall’assenza degli imperatori e dalle trasformazioni in atto nella chiesa accumularono insicurezza e tensioni sociali .

A Firenze, nel 1378 si scatenò il tumulto dei Ciompi. Negli anni precedenti simili sommosse si ebbero a Perugia e a Siena, mentre le campagne calabresi furono insanguinate da una guerra antiaragonese. Forse è difficile parlare per quei tempi di una acquisita coscienza di classe dei lavoratori che però, quando poterono, furono decisi a far valere i loro convincimenti pure se non furono sempre consapevoli della loro forza e dei loro diritti.

 

LA SARDEGNA E I SUOI COMUNI : Cagliari, Oristano, Sassari

Più che in altre terre Italiane nella Sardegna, presto abbandonata anche dall’Impero d’Oriente, apparvero gravi le ripercussioni della dissoluzione imperiale e dell’età barbarica. Si dispersero le popolazioni e si distrussero le città. L’unica autorità rimasta in vita fu quella ecclesiastica e Gregorio Magno tentò il primo riordinamento dell’isola. Più tardi Benedettini cassinesi, Camaldolesi e Vallombrosani, fondarono lì monasteri e chiese che resero il pontificato determinante nella vita sarda e i vescovi grandi proprietari terrieri. Ma anche il papato era lontano e, per vincere i saraceni, si affermò una autorità militare e civile in Cagliari, con il nome di Arconte, Console, Duca e poi Giudice, nonché di funzionari preposti alle difesa delle circoscrizioni isolane denominate giudicati di Cagliari, Arborea, Logudoro e Gallura in cuila Sardegnasi presentò divisa dopo il Mille. Tra l’XI e il XII secolo Pisa e Genova cominciarono a contendersi influenza e basi commerciali nell’isola.

Nel 1205 si inaugurò il dominio di Lamberto Visconti pisano in seguito alle sue nozze con Elena di Gallura. Lamberto divenne giudice e si affermò anche nel Logudoro. Tra contese e guerre vi fu un’alternanza di potere fra pisani e genovesi, con una netta prevalenza di quest’ultimi nel 1250. Durante queste guerre Bonifacio VIII, per affermare la sua autorità sovrana infeudò la Sardegnaa Giacomo II d’Aragona e dopo la morte di Enrico VII, gli aragonesi si insediarono gradualmente nell’isola. Da principio la Sardegnasentì gli effetti negativi della nuova dominazione e le città persero la loro autonomia. Sassari ribellatasi tre volte (1324-1325-1329) fu domata nel sangue. Nella seconda metà del ‘300 Pietro IV, riordinò l’amministrazione dell’isola pensando di averla pacificata, ma i Sardi nella seconda metà del secolo ripresero la lotta contro gli aragonesi, cercando l’appoggio degli angioini, mentre Eleonora d’Arborea cercava intese con Genova. Per domare la fiera giudicessa, Pietro D’aragona tenne in ostaggio il suo consorte inviato quasi prigioniero in una spedizione contro la Sardegna. Perriavere il marito Eleonora chiese la pace nel 1338, ma subito prese le armi conquistando Sassari, la Gallura, Alghero e Cagliari. Durante i preparativi della guerra essa predispose la Carta de Logu fondamentale regolamentazione del diritto pubblico, privato, penale e civile. La morte di Eleonora (1404) e i reiterati assedi aragonesi dominarono la storia sarda del primo ‘400. Nel 1420 Alfonso entro nell’isola espugnandone gran parte. Oristano rimase in armi e le operazioni militari durarono fino al 1474, ma la caduta di Cagliari, la sconfitta di Macomer e delle truppe d’Arborea portarono all’occupazione di Oristano e dell’intera terra sarda.

CAGLIARI

Dal IV secolo i suoi Vescovi divennero metropoliti della Sardegna. Durante le lotte ariane Lucifero, sostenitore della confessione nicena, andò in esilio e scrisse le prime opere di un autore sardo giunte fino a noi. Cagliari fu occupata dai vandali, poi da Giustiniano e dai bizantini. Oggetto degli assalti saraceni cadde in degrado fra il VII e il X secolo, ma si riprese nel ‘200 dopo la costruzione del castrum pisano, divenuto in breve fortezza imprendibile. Durante le guerre fra Genova e Pisa, fu teatro di battaglie navali tra galee pisane e genovesi. Con Bonifacio VIII e l’infeudamento a Giacomo II d’Aragona, popolata da catalani e fornita di privilegi barcellonesi, Cagliari fu avamposto della dominazione spagnola. Prevalsero lingua arte usi iberici, mentre vennero ostacolate le relazioni con gli italiani.

ORISTANO

Capitale del giudicato di Arborea si sviluppò soprattutto nei secoli XIII-XV, per oltre un secolo e mezzo in contrasto con gli aragonesi. Da ricordare è il monumento eretto da quella città a Eleonora d’Arborea, insigne per la forza e la cultura delle leggi, che con la carta de logu, dette vita ad una fonte di grande sapienza giuridica.

SASSARI

Modesta fino al XII secolo crebbe poi per diventare il centro più importante del giudicato di Torres, frequentato da genovesi e pisani che vi coltivarono cospicui interessi. L’influenza di Pisa non diminuì la sua autonomia di cui fu gelosissima fino a quando passò ai genovesi e agli aragonesi. Epiche furono le insurrezione contro quest’ultimi, duri repressori delle rivolte e costruttori del nuovo castello a cinque torri, volto a dominare la città. Tardi e senza entusiasmo Sassari si sottomise ad Alfonso v di Aragona.

 

* Ludovico Gatto “ L’Italia nel Medioevo,gli italiani e le loro città” ed TEN 1995

 

L’ITALIA NEL XIV SECOLO

E’ il secolo in cui assistiamo alla decadenza dei due poteri universali: il papato e l’impero.

Nel XII secolo e nel XIII grandi erano stati i cambiamenti, segnati dall’ascesa dei ricchi a scapito della nobiltà feudale. Un grande evento segnò in modo indelebile tutta l’Europa: la grande peste del 1348, che decimò la popolazione europea riducendola ad un terzo, tale diminuzione ebbe come conseguenza la diminuzione della domanda di produzione agricola, da cui dipendeva la vitalità dell’artigianato urbano, che si basava sulle richieste della popolazione della campagna. Il commercio, in seguito a tale crollo , divenne sempre meno vitale e le grandi banche, motori dell’ascesa della borghesia e della nascita dei comuni, fallirono. I terreni agricoli,vennero abbandonati, e i signori feudali, venendo meno i loro guadagni, aumentarono i carichi fiscali sui contadini, i quali esasperati dalla fame si organizzarono il più delle volte in sommosse e proteste che furono sempre soffocate nel sangue.

Se il XIII aveva messo in evidenza l’inadeguatezza del papato e dell’impero il XIV secolo diede definitivamente il via ai moderni stati territoriali e alla laicizzazione del potere.

Di questo periodo, ne troviamo una interessante descrizione nella storia d’Europa di H.Pirrenne:

“Niente di più confuso, di più contrastato, di più fuorviante del periodo che va dall’inizio del XIV secolo fin verso la metà del XV. Tutta la società europea, da cima a fondo appare in fermento.Ovunque regna l’agitazione, negli spiriti come nella politica, nella politica come nella religione, ed è una agitazione, che sembra assai prossima allo smarrimento. Si soffre senza poter andare avanti né tornare indietro, perché il solo sentimento di cui si abbia chiara coscienza è quello delle proprie sofferenze. Non si ha niente da sostituire alla tradizione che pesa addosso e di cui non ci si riesce a liberare. Per quanto vacillanti le vecchie idee sopravvivono e le si ritrova ovunque, modificate certo o alterate, ma senza presentare sostanziali mutamenti. Si avverte chiaramente che il mondo aspetta un rinnovamento, ma l’alba tarda a spuntare. Gli uomini di questo tempo sono tesi e infelici, nessuno raggiunge la grandezza…In Italia si sviluppa un vero e proprio capitalismo, ostacolato però dalle rivendicazioni economiche sempre più serrate delle città. L’industria tessile fiamminga al Nord, quella fiorentina a mezzogiorno, sono sempre come nel XIII secolo i due grandi centri industriali dell’esportazioni. La lavorazione del cotone è appena agli inizi, non si vede alcun progresso tecnico. Gli strumenti e i processi di lavorazione sono sempre pressappoco gli stessi usati nell’antico Egitto. Il barile per le aringhe inventato in Olanda alla fine del XIV secolo, sembra l’unica novità di un certo rilievo che si possa segnalare. La circolazione è vero si è sviluppata. Se le vie di terra rimangono tutte egualmente carenti, la navigazione acquista sempre più importanza. La circolazione del denaro è ancora più imponente di quella dei prodotti e delle derrate. La cambiale con accettazione è della prima metà del XIV secolo, la tenuta dei libri a partita doppia pare risalga al 1494, ma per quanto interessanti questi eventi da soli non possono segnare il punto di partenza di un nuovo periodo della storia economica. Tradiscono una innegabile tendenza allo sviluppo del capitalismo, del commercio e degli affari , ma se si considera il periodo nel suo insieme, si scopre senza difficoltà che uno dei suoi tratti più vistosi è la sua ostilità al capitalismo, tranne che in Italia.

La ragione di ciò va ricercata nella evoluzione della borghesia, di quella classe cioè nelle cui mani si concentra tutta l’attività commerciale ed industriale. Salvo eccezioni assai rare, di cui Venezia è la più evidente, a partire dalla fine del XIII secolo, in tutte le città la preminenza dei mestieri si sostituisce a quella dei patrizi.

Se gli artigiani non arrivano a conquistare il governo politico locale, riescono almeno a sottomettere alla propria influenza l’organizzazione dell’economia municipale. I mestieri quali appaiono all’origine, sono raggruppamenti liberi di artigiani che esercitano la stessa professione, uniti per la difesa degli interessi comuni, per quanto riguarda lo scopo li possiamo paragonare ai sindacati liberi dei nostri giorni. Quel che conta per loro è regolamentare la concorrenza.Ogni nuovo venuto, deve affiliarsi alla corporazione, pena il boicottaggio. Il potere municipale onde evitare disordini diede il riconoscimento giuridico ai mestieri, in altri termini li trasformò da sindacati liberi in sindacati obbligatori… La prima metà del XIV secolo segna l’apogeo dei mestieri, ma via via che si sviluppano, si palesano sempre più due caratteri essenziali della loro organizzazione, il monopolio e il privilegio.

Ogni gruppo di artigiani si adopera per estendere il protezionismo di cui si circonda come di una fortezza… il risultato politico della organizzazione corporativa è stato naturalmente quello di togliere il governo delle città alle oligarchie patrizie che vi avevano dominato, che però non abbandonarono il posto senza resistenza, e tutto il XIV secolo è pieno delle lotte che grandi e piccoli si fecero gli uni contro gli altri, per il possesso del potere municipale  

 

L’ETA’ DELL’UMANESIMO E DEL RINASCIMENTO

Così è denominato un periodo della storia d’Italia e in parte anche di altri paesi europei, che all’incirca si estende dal secolo XV al XVI, caratterizzati dall’affermarsi di un nuovo ideale di vita e dal rifiorire degli studi e delle arti. Più specificatamente posiamo definire cronologicamente Umanesimo l’età corrispondente al secolo XV, mentre chiameremo Rinascimento l’età cronologicamente corrispondente alla prima metà del secolo XVI.

Il termine Rinascimento viene usato per la prima volta nel 1855 dallo storico francese Jules Michelet in riferimento alla scoperta del mondo e dell’uomo nel XVI secolo. Il grande storico svizzero Jakob Burckhardt, nella sua opera “la civiltà del rinascimento in Italia (1860) ampliò il concetto di Michelet, indicando il Rinascimento come il periodo che nelle arti figurative viene aperto da Giotto e chiuso da Michelangelo, egli definì l’epoca come quella in cui vennero alla luce l’umanità e la coscienza moderne dopo un lungo periodo di decadimento.

La storia divenne una branca della letteratura e non più della teologia. Gli storici del rinascimento rifiutavano la visione cristiana della storia che doveva avere inizio con la creazione, seguita dalla incarnazione di Gesù Cristo e dal giudizio finale. La visione rinascimentale della storia esaltava il mondo greco-romano, condannava il Medioevo come un’era di barbari e proclamava la nuova epoca come quella della luce e della rinascita del classicismo.

L’idea rinascimentale dell’umanesimo rappresentò un ulteriore elemento di rottura culturale con la tradizione medioevale. Secondo lo studioso americano Paul Oscar Kristeller, questo termine, spesso mal interpretato, sottolineava la generale tendenza del rinascimento a dare molta importanza agli studi classici e a considerare l’antichità classica come il riferimento comune e il modello guida di tutta l’attività culturale.

Il rinascimento realizzò notevoli progressi nel campo della medicina e della autonomia, scienze per le quali venne redatta, la prima traduzione delle opere di Ippocrate Galeno. Alcuni dei più noti trattati greci di matematica furono tradotti nel XVI secolo mentre venivano dati alla stampa le opere di astronomia di Copernico e Keplero. Verso la fine del XVI secolo Galileo applicò i modelli matematici alla fisica. Lo studio della geografia venne trasformato dalla nuova conoscenza favorita dalle esplorazioni extraeuropee. In campo tecnologico, l’invenzione della stampa a caratteri mobili del XVI secolo rivoluzionò la diffusione del sapere. La nuova invenzione rese possibile aumentare la quantità di libri in circolazione e trasformò lo sforzo intellettuale in una attività di confronto e di scambio piuttosto che di elaborazione solitaria. L’impiego della polvere da sparo rivoluzionò le tattiche militari tra il 1450 e il 1550, favorendo lo sviluppo dell’artiglieria che avrebbe rivelato i suoi effetti devastanti contro le mura di castelli e città. Nel campo del diritto si tendeva a confutare il metodo dialettico dei giuristi medioevali mediante la interpretazione storico-filologica delle fonti del diritto romano. Per quanto riguarda il pensiero politico, Macchiavelli fù senza dubbio il più originale e innovatore fra i pensatori politici del Rinascimento, egli sosteneva che la forza creativa del principe rappresentava la chiave per il mantenimento sia della sua posizione sia del benessere dei suoi sudditi.

Il rinascimento fu un periodo di fermento intellettuale che aprì nuove vie per i pensatori e gli scienziati dei secoli successivi.

 

LA RIFORMA

Con questo termine viene designata la grande crisi religiosa che ha travagliato l’Europa nel secolo XVI e che ha portato alla formazione delle chiese protestanti. Essa viene perciò spesso chiamata Riforma protestante per distinguerla dalla riforma cattolica o controriforma. La riforma, i suoi successi e insuccessi sono sicuramente stati influenzati dai vari fattori che in quell’epoca dominavano la scena Europea, dal sorgere del capitalismo, che cercava di liberarsi dalle strettoie del medioevo al sorgere degli stati nazionali in lotta con i poteri universali ( papato e impero), anche se la riforma è partita in quei paesi dove meno erano avvertiti questi cambiamenti,la Sassonia, economicamente sonnolenta, e che abbia avuto come primo protagonista un uomo come Lutero, legatissimo alla civiltà medioevale.

I grandi successi riportati dalla chiesa Occidentale nei secoli XII e XIII avevano edificato un formidabile edificio ecclesiastico, ma nel momento stesso che la teocrazia papale raggiungeva il suo culmine, già cominciavano ad emergere alcuni elementi di vera e propria protesta religiosa, a cui si aggiunse lo scisma d’occidente, che per decenni divise la cristianità tra diverse obbedienze pontificali, con scomuniche reciproche e molto disorientamento tra i fedeli.

La data di inizio della Riforma è canonicamente indicata nel 31 ottobre del 1517, anno in cui Lutero affisse le sue 95 tesi, contro le indulgenze, alla porta della chiesa del castello di Wittemberg. Dalle indulgenze la polemica passò ben presto ad investire il diritto canonico e l’autorità papale, su questo punto si consumò la rottura tra riforma e cattolicesimo, Lutero rifiutò infatti il papato, considerandolo essenzialmente negativo e gli contrappose l’autorità della bibbia. Ben presto il monaco rivoluzionario si vide circondato da grandi consensi. Si costituirono i primi gruppi luterani , e tuttala Germaniavenne invasa dai predicatori della nuova dottrina, la bibbia tradotta magistralmente da Lutero venne venduta ovunque. A questo rinnovamento religioso si aggiunse una forte richiesta di rinnovamento sociale, in senso egualitario e comunistico, che sfociò in una grande insurrezione rurale (la guerra dei contadini) soffocata nel sangue e dalla quale Lutero aveva preso le distanze, la riforma perse così il suo mordente nelle campagne e venne a dipendere principalmente dai nobili e dal popolo delle città. In questi stessi anni si era compiuta in Germania la tragedia degli anabattisti, giudicato come l’ala sinistra della riforma, infatti l’obiettivo della riforma era una totale restaurazione dello stile di vita della chiesa cristiana primitiva, impadronitisi di Munster, gli anabattisti si accinsero a farnela Nuova Gerusalemme, il 25 giugno del 1535, Munster fu riconquistata dal suo vescovo, e l’anabattismo scomparve in un bagno di sangue.

Mentre la riforma Luterana era nata in Germania, quella Calvinista trovo il suo terreno in Francia, anche se fu proprio qui che venne sconfitto, i re di Francia, a cominciare da Francesco I furono infatti sempre contrari al movimento protestante, che appariva dannoso alla loro politica di accentramento.La Franciafu insanguinata da otto rovinose guerre di religione, che vennero concluse con l’ascesa al trono di Enrico IV: questi per ottenere il trono, si convertì al Cattolicesimo, ma concesse ai protestanti libertà di culto con ampie garanzie.

Una riforma di tipo tutto speciale venne compiuta in Inghilterra con il sorgere della chiesa Anglicana, essa non fu una chiesa protestante in senso proprio ma il risultato di un compromesso tra elementi della tradizione cattolica ed elementi protestanti. Già da molto tempo, esistevano in Inghilterra correnti riformatrici e un certo sentimento anticlericale e antipapale, perciò quando Enrico VIII, si trovò in contrasto con Roma per l’annullamento del suo matrimonio con Caterina D’Aragona, egli potè con relativa facilità, creare una Chiesa Nazionale e indipendente da Roma. Nel 1534 con l’atto di supremazia, il Re veniva proclamato capo supremo della Chiesa d’Inghilterra, e la giurisdizione del “ vescovo di Roma “ fu abolita.

 

IL SECOLO XVII : L’ETA’ DELLA CONTRORIFORMA E DEL BAROCCO

Con il termine controriforme (al plurale) si intendeva in origine solo la ricattolicizzazione forzata dei territori passati al protestantesimo. La lotta inizia subito dopo la scomparsa di Lutero, l’inquisizione sia in Spagna che nei paesi bassi e in Francia, così come quella romana insieme all’indice dei libri proibiti cercano di arginare la diffusione delle idee della riforma. Sotto il concetto di riforma cattolica si intende la concentrazione della Chiesa sull’ideale cattolico di vita mediante il rinnovamento interiore, dalla fine del secolo XV a tutto il XVII. L’opera di reazione al movimento protestante e di restaurazione interiore compiuta dalla Chiesa cattolica ebbe il suo fulcro nel concilio di Trento, dal quale questa opera attinse norma autorità e valore. I padri del concilio trattarono della questione dogmatica e della riforma della disciplina ecclesiastica, dogmi, decisioni conciliari e gerarchia ecclesiastica erano sottratti ad ogni ulteriore discussione e imposti ai fedeli come capisaldi del cattolicesimo. Dal concilio di Trento trasse vantaggio e rafforzamento anche l’istituzione del papato,. Le deliberazioni del Concilio non avvennero senza contrasti anche gravi. Dei prelati che rappresentavano l’Italia,la Spagna,la Franciaela Germania, gli italiani superavano in numero tutti gli altri, e poiché fu deciso che le votazione si facessero per testa, e non per nazione, l’episcopato italiano fedele a Roma sostenne i principi che erano graditi al Papa.,e cioè il riconoscimento pieno della superiorità del papato sul concilio.

La seconda metà del cinquecento, fu caratterizzata in Italia dalla dominazione straniera e il rigido controllo della chiesa su tutta la vita letteraria e intellettuale italiana, e con il termine Barocco si suole comunemente indicare la civiltà letteraria, artistica e musicale, che con caratteri più o meno simili si svolse in quasi tutta l’Europa, ad incominciare dagli ultimi decenni del cinquecento fino alla metà del secolo XVII.

Il Barocco prima di affermarsi storiograficamente come periodo, ha subito una lunga vicenda di polemiche, iniziando dall’illuminismo e dagli intellettuali dell’accademia Arcadia, che negavano qualsiasi valore all’intera cultura del seicento, posizione assunta anche dal romanticismo, con una valenza però più politica, esprimendo un giudizio negativo sul barocco si condannava anche ciò che lo aveva influenzato e cioè la controriforma e la dominazione straniera in Italia.

Il termine Barocco, si diffonde nella seconda metà del secolo XVII, per indicare il gusto del seicento: il termine di origine ispano-portoghese ( dove indica una sorta di perla irregolare) in Francia è usato per definire quelle opere d’arte che hanno del bizzarro e del curioso, escono fuori dalle regole del buon gusto. In Italia si incontra con l’uso di un termine analogo, indicante nel linguaggio scolastico una delle figure del sillogismo, già fatto segno di deformazioni e di utilizzazioni burlesche. Quando verso la fine dell’ottocento il gusto comincia a mutare e si avvertono i primi segni della cultura decadente, inizia anche una progressiva trasformazione del giudizio sul barocco più informato più documentato e storicamente più preciso.

Da un punto di vista letterario è un’età che vede il dominio di Torquato Tasso, che assomma in se e nelle sue opere tutte le contraddizioni e i conflitti che hanno caratterizzato questa epoca, dove sono venuti meno, tutti i moti intellettuali e sentimentali che erano la base del rinascimento, dalla fiducia entusiastica nell’uomo e nelle sue forze, al senso gioioso della vita, alla concezione dell’arte come un libero creare. Tutto ciò si disperde nell’amarezza dell’indipendenza perduta, a cui si accompagna il lento declinio economico dell’Italia che si accentuò lentamente nel corso del XVI, e divenne vero e proprio regresso nel XVII secolo.

 

ALCUNE NOTIZIE STORICHE

Agli inizi del 1500 l’Italia continuava a restare politicamente divisa : a Milano i duchi della famiglia Sforza, a Venezia l’oligarchia commerciale, a Firenze i Medici, nell’Italia centrale lo stato della chiesa e a Sud il Regno di Napoli , governato dalla dinastia spagnola degli Aragona: Non esisteva un unico mercato nazionale come in Inghilterra e in Francia. Le città, pur essendo molto ricche, basavano la loro attività sul commercio con l’estero e questo le rendeva inevitabilmente rivali. Da qui l’inizio della decadenza economica, dopo la grande fioritura dei Comuni e delle signorie. Il frazionamento politico rendeva ovviamente l’Italia facile preda degli stati vicini, che avevano già ultimato la loro unificazione nazionale alla fine del 1400 mediante forti monarchie centralizzate. Il primo a scendere in Italia fu Carlo VIII, chiamato da Ludovico il Moro di Milano per combattere Ferdinando I, Re spagnolo a Napoli.

Carlo VIII si insediò nel Napoletano, ma Milano, Venezia, il Papato, il Re di Spagna e l’imperatore d’Austria riuscirono a cacciare i francesi.

La guerra contro i Francesi continuò sino alla pace di Caveau-Cambresis (1559) che sancì definitivamente l’egemonia spagnola in Italia e in Europa.La Franciadovette rinunciare ad ogni pretesa sull’Italia.

Durante queste guerre l’Italia Cattolica si vide impegnata anche nella controriforma con il concilio di Trento (1545-1563). Viene ripristinato il Tribunale della inquisizione e l’indice dei libri proibiti.

La Spagnanon faceva altro che perseguire una politica di rafforzamento dell’ordine feudale esistente nell’Italia meridionale e in Sicilia. Ciò ebbe come conseguenza un progressivo impoverimento delle masse contadine.

Lo stato della chiesa non era interessato alla unificazione nazionale, e dal punto di vista economico aveva un sistema analogo a quello spagnolo. Ciò ha favorito il permanere degli spagnoli in Italia, che dopo la cacciata dei Francesi rimasero per oltre un secolo e mezzo e cioè fino alla pace di Utrecht (1713).Con la guerra di sucessione spagnola (1700-1713) i possessi spagnoli in Italia passano all’Austria ( regno di Napoli, ducato di Milano e Sardegna. Ma i borboni di Spagna riescono a sottrarrela Siciliaela Sardegnaagli Asburgo, conquistando poi il regno delle due Sicilie. Gli Austriaci rimasero nel Lombardo Veneto.

 

IL SECOLO XVIII : L’ETA DELL’ARCADIA E DELL’ ILLUMINISMO

Per i cambiamenti politici, economici e sociali che hanno caratterizzato questo secolo si è soliti affrontarne lo studio dividendolo in due periodi:

1)     ultimi decenni del ‘600 e fino alla metà del ‘700, periodo definito in letteratura:età dell’arcadia

2)     dalla pace di Aquisgrana (1748) allo scoppio della rivoluzione Francese periodo definito in letteratura età dell’illuminismo

L’età dell’Arcadia

Arcadia è il nome di una accademia letteraria sorta a Roma nel 1690. il fenomeno letterario nasce dalla abitudine di alcuni letterati di riunirsi nel salotto di Cristina di Svezia.

Cristina per convertirsi al cattolicesimo aveva rinunciato al suo trono, stabilendosi a Roma. Morì nel 1689 e un anno dopo appunto nel 1690 i frequentatori del suo salotto fondarono una accademia a cui diedero il nome di Arcadia, e i membri erano detti Pastori per la loro abitudine a darsi pseudonimi attinti dalla vita pastorale, e fu proprio durante la lettura di un componimento pastorale, che uno dei partecipanti esclamò che gli sembrava di trovarsi in Arcadia, (regione della Grecia dove si esprimeva la poesia pastorale Greca e latina)

In seguito il termine Arcadia indicò non solo l’attività letteraria dei suoi soci, ma tutta l’attività letteraria italiana nella prima metà del secolo.

La loro caratterizzazione letteraria fu quella di porsi in antitesi al “cattivo gusto barocco” proponendo un buon gusto,ricercando modelli ideali per una poesia equilibrata e composta .

L’accademia si divise ben presto in due parti una diretta da Crescimbeni e l’altra da Gian Vincenzo Gravina, che proponeva un classicismo più esasperato che lo porto a staccarsi dall’accademia e a fondarne un’altra.

Per capire le aspirazioni dei letterati dell’arcadia, bisogna ricordarsi che la cultura Europea del tempo era dominata dal Razionalismo di Cartesio, che voleva ricondurre alla ragione i moti e gli impulsi del cuore.

L’arcadia promosse il coordinamento fra gli intellettuali e i letterati di tutto il paese, rafforzando il senso di una unità nazionale che comunque non esisteva.

I suoi maggiori rappresentanti, sono considerati:

Ludovico Antonio Muratori

Giambattista Vico (li ritroviamo entrambi in Foscolo)

Gian Vincenzo Gravina

Pietro Giannone, di lui ricordiamo il senso vivissimo dello Stato e una forte avversione alle pretese temporali del Papa, tanto che fu arrestato, dopo essere stato attratto con un tranello in territorio cattolico e tenuto fino alla morte in varie carceri Piemontesi.

 

L’età dell’illuminismo

In questa seconda fase quello che mutò radicalmente rispetto a quella che abbiamo definito l’età dell’Arcadia è lo scenario sociale e politico e soprattutto il consolidarsi della presa di coscienza di se stessa della borghesia. La lettura storica di questo periodo e universalmente quella dell’illuminismo come espressione del processo di avanzamento della stessa borghesia, ( che non condividiamo) e quando si indicano questi aspetti si è soliti definire questo periodo come “assolutismo illuminato”

E’ infatti proprio nella seconda metà del settecento che le diverse monarchie europee misero in atto una politica di grandi riforme che rispondevano alle esigenze di rafforzare la direzione centrale degli stati, di incentivare la crescita economica, di risanare le finanze, di favorire lo sviluppo della società civile. Da questo punto di vista le riforme rappresentarono una ulteriore fase della configurazione dello stato moderno che cominciò ad assumere i tratti di un organismo burocratico impersonale, svincolato dalla tutela dei ceti e dei corpi sociali. La tendenza fu quella di controllare il potere temporale della chiesa, che culminò nella soppressione della compagnia di Gesù, mentre i primi provvedimenti di tolleranza religiosa fornirono i primi riconoscimenti legislativi ad una secolare battaglia. Furono introdotti i catasti e aboliti dove ancora esistevano i servi della gleba. Si attuò un nuovo sistema giudiziario e vennero modificate le regole dell’economia corporativa, anche nell’istruzione lo Stato contribuì a trasformare l’impianto culturale ereditato dalla controriforma e ridusse l’egemonia ecclesiastica in un settore decisivo per la formazione della classe dirigente. Tutte queste riforme furono anche il frutto della spinta al cambiamento che trovava espressione e voce nei circoli culturali, nelle iniziative editoriali, nelle accademie, nei giornali, e che contribuì a formare quella che poi venne definita :l’opinione pubblica.L’illuminismo è anche definito “l’età dei lumi” ovvero l’età in cui si intese esaminare al lume della ragione tutta la eredità del passato eliminando quanto apparisse frutto di superstizione, ma è una ragione che trova una rigorosa limitazione nel campo dell’esperienza.

 

LA FINE DELL’ANTICO REGIME

 

Prima di introdurre la parte relativa al romanticismo e Ugo Foscolo, e necessario fare una breve premessa su ciò che è stato storicamente il processo rivoluzionario che ha segnato la fine dell’antico regime.

La grande rivoluzione si è imposta nell’immaginario collettivo come lo spartiacque decisivo fra il vecchio mondo del privilegio e dell’arbitrio e il nuovo mondo dei diritti e delle libertà.

Alla vigilia dell’89 apparivano palesi le patologie dello stato francese i cui molteplici segnali di crisi erano riconducibili al precario rapporto tra il centralismo imperfetto realizzato dal potere monarchico e la permanenza di particolarismi di ceto, di autonomie locali che davano una impronta fortemente corporativa alla società francese.

Nelle sue principali divisioni amministrative e giudiziarie, il tessuto istituzionale della Francia palesava quella frantumazione del potere che era frutto della sua secolare stratificazione e che risultava fonte di inerzie paralizzanti. Accanto alle antiche provincie sopravviveva la divisione tra Paesi di Stati e Paesi di Elezioni. Nei primi l’assemblea degli stati provinciali, composta da rappresentanti del clero, della nobiltà e del terzo stato, ostacolava il potere della corona di imporre tasse. Nei secondi, appartenenti ai domini diretti della monarchia, era il Re a nominare i giudici ( impropriamente chiamati eletti ) incaricati di regolare la materia fiscale.

Il fatto che la centralizzazione assolutistica non avesse conquistato lo spazio istituzionale della Francia trovava una ulteriore conferma nella sopravvivenza dei parlamenti e delle corti sovrane, roccaforti della nobiltà di toga.

L’innesco della rivoluzione, ossia la riunione a Versailles degli stati generali, derivò dalla reazione dei parlamenti che si mobilitarono per bloccare i progetti di riforma finanziaria proposti dai ministri del re.

Nel breve periodo compreso tra la prima seduta degli stati generali ( 5 maggio 1789) e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ( 26 agosto 1789) la rivoluzione attuò le sue risolutive scelte istituzionali. Decisiva fu la presa della pastiglia del 14 luglio, che fu non solo l’evento simbolico della fine dell’antico regime, ma il segnale di quello che sarà il filo rosso di tutto il ciclo rivoluzionario “ il ruolo di protagonista del movimento popolare parigino” tesi molto funzionale alla sinistra.

Una svolta significativa si ebbe nel Luglio del 1790, con la caduta della monarchia, la proclamazione della Repubblica ( 10 agosto 1792) e l’esecuzione del Re (31 gennaio 1793). A cui segui il periodo del terrore giacobino.

Con il colpo di Stato del 9 Termidoro ( 17 Luglio 1794) e la morte di Robespierre, giustiziato il 28 Luglio, si chiuse il ciclo rivoluzionario in Francia.

Con il colpo di stato del 18 Brumaio ( 9 novembre 1799) Napoleone si presentò come l’uomo capace di riportare stabilità e ordine in Francia e di offrire una via di uscita alle irrisolte tensioni post rivoluzionarie.

In Italia al pari dei paesi europei raggiunti dalle armate rivoluzionarie, si erano formati gruppi di giacobini che guardavano all’esempio francese e che scontrandosi con tenaci resistenze, tentarono di liquidare gli antichi stati monarchici. Il giacobinismo italiano ebbe il suo momento decisivo nel triennio 1796/1799 cioè gli anni compresi tra la prima discesa di Napoleone in Italia e l’arrivo dell’esercito austro-russo . Le esperienze più significative si svilupparono in Lombardia, con la nascita della repubblica cisalpina, a Roma e a Napoli dove la repubblica fu proclamata rispettivamente nell’ottobre del 1798 e nel gennaio del 1799.

Per l’impero Napoleonico il passaggio dall’apogeo al crollo totale fu rapido. A far sorgere le prime difficoltà fu la resistenza spagnola , sostenuta dall’Inghilterra, che rafforzò il suo ruolo di riferimento del fronte antifrancese.

La difficoltà di controllare un dominio continentale di quelle dimensioni si fece ancora più marcata allorchéla Russiapreparò controla Franciauna ennesima coalizione, alla quale Napoleone rispose invadendone il territorio. L’immane disastro della campagna di Russia, nella quale perì circa mezzo milione di soldati della grande armata, rilanciò l’alleanza antifrancese, che dopo la vittoria sull’esercito napoleonico a Lipsia nel 1813, disarticolò il sistema imperiale e portò alla conquista di Parigi nel Marzo del 1814.

Le potenze vincitrici si riunirono in congresso a Vienna ( Novembre 1814 –Giugno 1815) e ridisegnarono la carta d ‘Europa. ( continua in seminario 2003: nascita e avvento del fascismo)

 

IL ROMANTICISMO

Inizialmente il termine indicava i popoli e le opere di lingua romanza ma assunse un significato nuovo in Inghilterra dove venne usato per indicare quella forma particolare di sensibilità che si effondeva nei romanzi. Fu poi usato in senso originale e specifico da un gruppo di filosofi e letterati tedeschi che nel 1799 si radunarono intorno alla rivista berlinese Athenum. Essi volevano una poesia nuova che non fosse imitazione di quella classica e che fosse drammatica inquieta e nostalgica.

La parola fu introdotta nei paesi latini dalla scrittrice francese AnnaLuisa De Stael .

In Italia il termine venne usato in senso rigorosamente storico, ovvero il periodo del Risorgimento. Nei primi romantici la lotta per la indipendenza della Patria fu una fatto non solo politico, ma morale e sociale tanto forte era la convinzione che la libertà era l’unica condizione nella quale l’uomo potesse esplicare tutto se stesso.

All’interno di questo arco temporale e storico del risorgimento non tutti i romantici si posero in egual modo. Potremmo distinguere fra scuola liberale e scuola democratica.

La scuola liberale

Prevalentemente furono scrittori di ispirazione cattolico liberale. Essi sostenevano la necessità per l’Italia di stringersi attorno a quella chiesa che essi identificavano come polo aggregante ed illuminante della civiltà Italiana. Secondo le loro tesi il risorgimento italiano sarebbe dovuto avvenire ad opera dei Sovrani e non già dl popolo, verso il quale era necessario un atteggiamento comprensivo, ma non coinvolgente. Massimo esponente di questa tesi fu Vincenzo Gioberti che nel suo Primato morale e civile degli Italiani propugna un risorgimento ottenuto attraverso una confederazione dei sovrani italiani uniti intorno al papato e quando Pio IX apparve appoggiare il suo programma Gioberti divenne l’uomo del giorno, ma il fallimento della rivoluzione del ’48, fece sì che Gioberti trasferì l’attenzione dal papato alla casa Savoia a cui nel suo rinnovamento d’Italia affidò il rinnovamento nazionale.

La scuola democratica

Al contrario dei primi, e vicini quindi alla tesi del Macchiavelli, gli scrittori democratici accusarono proprio la chiesa di aver impedito in ogni tempo l’unità del paese, e auspicavano un Risorgimento ad opera del popolo. Furono tutti repubblicani, chi come Mazzini auspicando una repubblica Nazionale chi come il Cattaneo una confederazione di Repubbliche.

I problemi politici italiani fecero sì che in italia nei primi tre decenni dell’800 non si ebbero certe forme di romanticismo morbido e sentimentale che predominarono in altri paesi, in quanto l’influenza della questione patriottica fece da correttivo, attenuando la malattia del secolo e indirizzando gli scrittori verso una letteratura che accompagnasse e favorisse il sentimento nazionale. La tendenza a rappresentare la storia si spiega con la necessità di sollecitare gli Italiani, attraverso le opere letterarie alle loro glorie passate, rendendoli consci della loro unità di Nazione

 

ROMANTICISMO filosofia

Da un punto di vista filosofico si può parlare di romanticismo, quando si afferma un nuovo concetto della ragione, cioè quando per ragione cominciò ad intendersi una forza infinita e onnipotente che abita il mondo e lo domina e per questo motivo costituisce la sostanza stessa del mondo. La cultura romantica introduce una più vasta prospettiva storica, ritrovando nel passato una direzione di progresso e uno sviluppo organico. Il romanticismo cerca di comprendere in questa ottica direzionale ciò che unisce il passato al presente, nella convinzione che è il presente ad essere la prosecuzione del passato. Questa più ampia dimensione storica porta il romanticismo a valutare adeguatamente quel complesso di tradizioni che è ancora alla base della vita delle grandi masse popolari.

Questa trasformazione del concetto di ragione è dovuto al filosofo tedesco Fiche, il quale per la prima volta identificò la ragione con l’io infinito o Autocoscienza assoluta, e ne fece la forza dalla quale l’intero mondo è prodotto. Il suo è definito “idealismo pratico”: il dato materiale è subordinato alla pura legge formale, ma questa subordinazione non può mai diventare oggetto di conoscenza, ma deve essere sempre nuovamente realizzata.

I caratteri fondamentali del romanticismo sono: l’ottimismo, il provvidenzialismo, il tradizionalismo e il titanismo.

 

L’ottimismo

E’ la convinzione che la realtà è tutto ciò che deve essere ed è, ad ogni momento razionalità e perfezione…Hegel : tutto ciò che è razionale è reale, e tutto ciò che è reale è razionale. Ed è la ragione a realizzarsi nei fatti. Fu in virtù di questo ottimismo che il romanticismo ebbe la tendenza ad esaltare il dolore, l’infelicità e il male, scriveva Holderlin: la volontà che non soffre è sonno e senza morte non c’è vita.

 

Il provvidenzialismo

La storia è per la concezione romantica, un processo necessario nel qualela Ragioneinfinita manifesta o realizza se stessa, sicchè in essa non c’è nulla di irrazionale o inutile

Il romanticismo si pone su questo punto in totale contrasto con l’illuminismo, quest’ultimo contrappone tradizione e storia: alla forza della tradizione che tende a conservare e a perpetuare pregiudizi, ignoranze violenze e frodi, l’illuminismo oppone la storia come riconoscimento di queste cose per quelle che sono e sforzo razionale di liberazione da esse. Per il romanticismo invece, tutto il passato, tutto ciò che è tramandato, è manifestazione della Ragione infinita, è verità e perfezione, lo spirito romantico è esaltatore e conservatore

 

Il tradizionalismo

Uno degli aspetti tipici del romanticismo è l’esaltazione della tradizione e delle istituzioni in cui essa si incarna. A questo atteggiamento, fu dovuta la rivalutazione del Medioevo, e in seguito a ciò il romanticismo tedesco ricominciò ad esaltare le tradizioni originarie della nazione tedesca, e nacque la prima forma di nazionalismo che doveva diffondersi e diventare uno dei tratti salienti della cultura europea nel secolo XIX. La storia come manifestazione di un principio infinito è razionalità intera e perfetta e non conosce né l’imperfezione né il male, essa è infinita perfezione in ogni suo momento.

 

Il titanismo

Il culto e l’esaltazione dell’infinito hanno come controparte l’insofferenza e l’insoddisfazione del finito. E in questa insofferenza, si radica l’atteggiamento di ribellione a tutto ciò che appare o è un limite, una regola, e la sfida incessante a tutto ciò che, per la sua finitudine, appare impari o inadeguato nei confronti dell’infinito.

 

 

UGO FOSCOLO

Quando si narra di un autore, si è soliti introdurre l’argomento con una cronologia biografica. Per narrare di Ugo Foscolo però non ci si può limitare ad una cronologia anagrafica, questa deve essere infatti accompagnata dagli avvenimenti storici che caratterizzarono la sua vita di poeta e di uomo del suo tempo.

1778   6 Febbraio a Zante una delle isole Jonie appartenenti a Venezia, nasce Niccolò Foscolo ( il nome Ugo se lo aggiungerà nel 1975) da Andrea Medico e Diamantina Spathis, greca di nascita e di religione.

1784 Andrea Foscolo si stabilisce con la famiglia a Spalato quale direttore dell’ospedale.

Primi studi di Niccolò al seminario

1788 24 ottobre muore Andrea Foscolo. Diamantina si stabilisce a Venezia. Niccolò torna a Zante presso una zia e riprende gli studi.

1792 Raggiunge a Venezia la madre e i 3 fratelli, Rubina GianDionigi e Costantino

1794 primo amore con Isabella Teotochi Albrizzi

1796 truppe Francesi al comando di Napoleone Bonaparte invadono l’Italia rovesciando governi e dinastie, viene costituitala Repubblica Cispadana

1797 si costituisce sotto gli auspici dei Francesi, la repubblica Cisalpina. In ottobre i Francesi .In ottobre i francesi firmano con gli Austriaci il trattato di Campoformio: fine della repubblica Veneta che viene ceduta all’Austria.

4 gennaio recita con successo della tragedia Tieste. A fine Aprile il F. lascia Venezia e si arruola nei cacciatori a cavallo ma poco dopo si dimette per ragioni di salute, a metà maggio torna a Venezia divenuta repubblicana, viene ammesso alla società di pubblica istruzione e nominato tra i quattro segretari della municipalità. Metà novembre lascia Venezia, ceduta all’Austria con il trattato di Campoformio e passa a Milano.

1798 E’ a   Bologna, aiutante del cancelliere del tribunale. Comincia a stampare l’Ortis.

Roma è occupata dai Francesi, i quali vi fondanola Repubblicaromana che cadrà dopo solo nove mesi.

1799 In primavera, come tenente della guardia nazionale combatte gli austriaci e i contadini insorti: alla presa di Cento è ferito da un colpo di baionetta alla coscia. A giugno abbandona Bologna occupata dagli austriaci e interrompe l’Ortis e si reca a Genova.

In gennaio i francesi occupano Napoli e proclamanola Repubblica Partenopea, presto travolta da una massa di contadini ribelli, guidati sulla capitale dal cardinale Ruffo. Le truppe Austro-russo sconfiggono i Francesi costringendoli ad abbandonare l’Italia.

1800 Assedio di Genova: combatte valorosamente ed è di nuovo ferito. Stampa l’ode A Luigia Pallavicini e ristampa l’ode Bonaparte liberatore, già pubblicata a Bologna nel 1797.

Napoleone ritorna in Italia traversando il piccolo e il grande San Bernardo, il 2 giugno è di nuovo a Milano dove viene nuovamente proclamata la repubblica Cisalpina, e il 14 Giugno ottiene una netta vittoria a Marengo. Il 4 Marzo è eletto Papa Pio VII, che succede a Pio VI

In toscana i Francesi depongono il granduca Ferdinando III

1801/1802 Foscolo capitano viaggia in diverse regioni, dopo la nuova occupazione francese. Firenze 1801 amore per Isabella Roncioni; ritorno a Milano, suicidio per malversazioni del fratello Gian Dionigi (8 dicembre 1801). Pubblicazione dell’ Orazione a Bonaparte per i Comizi di Lione, amore per Elisabetta Fagnani Arese, composizione della maggior parte dei sonetti e loro prima pubblicazione. Composizione dell’ode all’amica risanata. Completamento dell’Ortis e sua prima pubblicazione integrale. (ottobre 1802)

Uniformazione di pesi e misure in tuttala Repubblica Cisalpina.Firmata la pace fra l’Austria e Napoli da una parte ela Franciadall’altra. In aprile (1801) il Piemonte diventa una divisione militare francese, Luglio, firma di un corcondato trala Franciaela Santa Sede.26 gennaio 1802 viene fondatala Repubblica Italiana, con Napoleone presidente e Francesco Melzi d’Eril suo vice, in Settembre il Piemonte viene annesso alla Francia.

1803 marzo fine della relazione conla Fagnani Arese, luglio stampa la versione e il commento della chioma di Berenice di Catullo. Edizione definitiva delle odi e dei sonetti. Insuccesso dei tentativi di entrare in Diplomazia perché considerato troppo giacobino.

Concordato frala Santa Sedeela Repubblica Italiana.

1804/1806 Servizio militare in Francia, tramonto definitivo delle speranze di carriera nell’esercito per l’ostilità del Murat che non perdonava l’Orazione a Bonaparte, amori poco noti, dalla sua relazione con una donna internata nasce una figlia, Floriana. Nel Marzo del 1806 rientra in Italia e a giugno/settembre compone i sepolcri.

In luglio (1804) i gesuiti già espulsi, sono riammessi nel Regno di Napoli. Il 3 dicembre Napoleone è incoronato imperatore da Pio VII. La repubblica Italiana diventa Regno d’Italia (1805), con Re Napoleone I incoronato il 26 Maggio nel duomo di Milano, vengono adottati i codici Francesi. La repubblica Ligure viene annessa alla Francia. Gli Austriaci perdono la battaglia di Austerlitz e devono cedere il Veneto al regno d’Italia. Nel 1806 i Francesi occupano il regno di Napoli, di cui è nominato re Giuseppe Bonaparte. Nel regno di Napoli, come già altrove vengono espulsi i gesuiti e abolita la feudalità.

1807 Soggiorno a Brescia. Amore per Marzia Martinengo, stampa dei sepolcri e dell’esperimento di traduzione dell’iliade.

1808 E’ nominato professore di eloquenza all’università di Pavia; procura una splendita edizione delle opere di Raimondo Montecuccoli, con suo gravissimo danno finanziario. La cattedra Pavese è soppressa ancor prima dell’inizio delle lezioni.

I francesi occupano Roma, dove Pio VII si considera prigioniero. Parma Piacenza e Toscana sono annesse all’impero Francese. I francesi invadonola Spagnae Napoleone ne affida il trono a Giuseppe Bonaparte, che viene sostituito a Napoli da Gioacchino Murat

1809 22 gennaio Foscolo pronuncia la prolusione dell’origine e dell’ufficio della letteratura, che viene subito stampata. Tiene le lezioni e poi torna definitivamente a Milano.

Gli stati pontifici sono aggregati alla Francia. Pio VII viene condotto prigioniero a Savona.

1810 Grossa polemica del Foscolo con tutti i letterati facenti parte del gruppo facente capo al ministro Paradisi, totale rottura con il Monti; gli viene negato il posto di ispettore generale degli studi

1811 Compone l’Ajace, tragedia rappresentata alla scala la sera del 9 dicembre con scarso successo. Dopo una sola replica la tragedia viene proibita perché accusata di sentimenti antinapoleonici. Al Foscolo viene concesso un congedo di otto mesi con invito a passarli fuori dal regno d’Italia.

1812 Soggiorno a Firenze, con qualche rientro a Milano. Componela Ricciarda, traduce e pubblica il viaggio sentimentale di Sterne, lavora d’impegno alle Grazie. Frequenta a lungo il salotto della contessa D’Albany.

La grande Armata napoleonica invadela Russia, ma dopo aver preso Mosca è costretta ad una tragica ritirata nella quale perdono la vita anche molti Italiani. In Sicilia viene promulgata una costituzione di tipo britannico, una costituzione simile, ma più democratica viene concessa anche nella Spagna non occupata.

1813 21 novembre dopo la rotta di Lipsia, Foscolo rientra a Milano e si pone al Servizio del Viceré.

Napoleone viene sconfitto nella battaglia di Lipsia e gli eserciti della sesta coalizione invadonola Francia

1814 6 Aprile Napoleone abdica a Fontainebleau 20 aprile tumulto di Milano, caduta del regno Italico, linciaggio del ministro Prina. Murat, d’accordo con i rappresentanti della Coalizione , resta re di Napoli, L’Austria si annettela Lombardia e il Veneto, mentrela Toscana viene restituita a Ferdinando III. Napoleone è relegato nell’isola d’Elba. Il Foscolo è interpellato come eventuale direttore di un giornale letterario appoggiato dall’Austria

1815 30 marzo, l’Austria ha deciso di chiedere il giuramento di fedeltà agli ex ufficiali napoleonici, Foscolo tronca gli indugi e fugge in svizzera.

Napoleone fugge dall’isola d’elba e sbarca in Francia, sono i famosi 100 giorni che finiranno con la disfatta di Waterloo. Gli austriaci sconfiggono anche Murat, che fugge e rimettono sul trono di Napoli Ferdinando IV. Il congresso di Vienna ridisegna la carta politica d’Italia. In ottobre Murat, sperando di sollevare i contadini, sbarca a Pizzo Calabro, ma viene preso e fucilato, la savoia viene restituita al Piemonte.

1816 7 settembre Foscolo si imbarca per l’Inghilterra.

La costituzione siciliana viene revocata dal sovrano, che assume il titolo di Ferdinando I delle due sicilie.

1818/ 1819 dopo i primi successi letterari Foscolo si trova in difficoltà finanziarie.Si innamora profondamente e infelicemente di Carolina Russel, compone numerosi articoli storici e letterari, che gli servono soprattutto a pagare i debiti.

In Sicilia viene abolita la feudalità. Il 3 settembre 1818 esce il primo numero del “ Conciliatore” periodico liberale e romantico, che viene soppresso nel 1819

1820 Notizie della rivolta scoppiata in spagna danno il via ad una sollevazione anche a Napoli Ferdinando I promulgala Costituzione, rivolta dei siciliani repressa nel sangue dalle truppe napoletane.

1821 I sovrani d’Austria Russia e Prussica si incontrano a Lubiana e decidono che il re delle due Sicilie deve revocarela Costituzione. Gli Austriaci battono l’esercito napoletano di Guglielmo Pepe a Rieti e restituiscono il trono a Ferdinando I. Sollevazione in Piemonte a seguito della quale Vittorio Emanuele I abdica. Carlo Alberto in qualità di reggente, concede la costituzione di Spagna, ma la sua decisione viene sconfessata dal nuovo re Carlo Felice. Le truppe piemontesi stroncano con l’aiuto degli austriaci, la rivolta dei costituzionalisti piemontesi.

1822 Foscolo incontra la figlia Floriana, che aveva ereditato tremila sterline dalla nonna.Arreda una villetta che chiama “ Digamma Cottage” ma Foscolo continua a spendere troppo.

1823 Edizione definitiva dei saggi sul Tetrarca, dedicati a Lady Dacre. Foscolo va incontro alla rovina totale. Muore Pio VII e gli succede Leone XII

1824 Floriana raggiunge il padre ma deve insieme a Lui abbandonare il cottage perché perseguitati dai creditori. Foscolo deve nascondersi per evitare la prigione. Alla fine del 1824 viene comunque arrestato per debiti.

Muore Ferdinando III, granduca di Toscana, gli succede Leopoldo II. A Vienna viene sottoscritto un trattato fra Austria e regno delle due Sicilie per lo stanziamento nel Regno di 35.000 soldati fino al maggio del 1826

1825 Scrive i saggi sul Decamerone, sulla divina Commedia e la lettera apologetica. Sfinito dai travagli e dalle fatiche si ammala, ma continua a scrivere articoli e a dare lezioni per vivere

10 settembre 1827 ore 20.45 muore, viene sepolto nel cimitero di Chiswick.

  

NOTIZIE UTILI

La casa natale del Foscolo a Zante, benché in deplorevoli condizioni di abbandono sopravviveva fino a pochi anni fa , ma venne completamente distrutta dal terremoto che nel 1953 sconvolse le isole Jonie. Esiste ancora invece a Venezia in campo delle gatte – ora campo Ugo Foscolo – la povera dimora dell’adolescenza foscoliana. Le case che invece il Foscolo occupò a Milano sono sparite per i bombardamenti del 1943 e più ancora per la speculazione edilizia, così come non restano tracce, altro che di nome delle abitazioni del Foscolo in Inghilterra.

La prima tomba del poeta fù, come è noto nel cimitero di Chiswick. Di lì le spoglie furono esumate nel 1871 e solennemente traslate in Santa Croce a Firenze. Sulla tomba fiorentina molto più tardi (1938) fu posta una statua, opera dello scultore Berti. Per scrupolo di informazione che sulla autenticità delle ossa rinvenute a Chiswick vennero avanzate riserve, perché il cenotafio di pietra sotto cui si scavò era stato collocato parecchio dopo la morte di Ugo, perché il cimitero era mal tenuto e la targhetta con il nome del poeta a quanto pare non fù rinvenuta fissata alla bara, ma nella terra accanto.

Per le notizie d’archivio sul Foscolo molti documenti sono contenuti tra le carte ora alla Labronica , mentre molte notizie di non poco interesse si possono leggere nel fascicolo personale del Foscolo come ufficiale effettivo dalla Cisalpina al Regno Italico, presso l’archivio di stato a Milano, nonché nei rapporti di polizia un tempo conservati a Vienna, denotanti l’interesse e il sospetto con cui l’Austria seguì le vicende del poeta dalla caduta Napoleonica del 1814 fino a tutto il soggiorno in Svizzera. Andati in gran parte distrutti nell’incendio del palazzo di giustizia viennese nel 1927 sono fortunatamente consultabili tra le carte Bianchini alla biblioteca di stoia moderna e contemporanea in Roma: gli originali superstiti si trovano solo allo Haus-hof und Staasarchiv di Vienna.*

da U.Foscolo “ultime lettere di Jacopo Ortis” Ed BUR Supersaggi 1992

 

BIBLIOGRAFIA,   I SAGGI

 

Da storia letteraria d’Italia di Armando Balduino

Balduino nel suo saggio introduce la figura del Foscolo avulso da quella beatificazione riservata a tanti altri numi delle patrie lettere. Forse questo perché esiste una ambiguità nel Foscolo uomo e poeta sempre in bilico fra l’essere uno scrittore solitario e un voler essere uno scrittore per la società, attratto e respinto da un mondo nuovo in bilico fra rivoluzione e restaurazione. La modernità del Foscolo sono da ricercarsi nel groviglio delle sue contraddizioni, nell’aver messo a fuoco tanti problemi senza però trovare soluzioni, e questi problemi sono legati al suo tempo e al suo quadro storico, sono spesso i nostri problemi, pensiamo al suo Jacopo, così attuale e con quei insanabili conflitti così simili a quelli della nostra generazione.

Balduino parte dal presupposto che non è possibile separare la letteratura dalla vita e dalla storia, infatti il Foscolo rappresenta un nuovo tipo di letterato, perché si impone non solo per ciò che scrive ma per ciò che fa, egli è un cittadino non un aristocratico o un abate.

Una delle più importanti tappe delle vita del Foscolo fu sicuramente l’abbandono di Venezia, la condizione del Foscolo è quella di uno sradicato tanto più portato a radicarsi tenacemente in situazioni concrete della realtà e della storia. Senza una vera patria si batterà per l’Italia, subendo però il mito della sua terra natale, legato al ricordo di una infanzia felice. La morte prematura del padre e il disgregarsi della sua famiglia lo spingono sempre alla ricerca di amicizie profonde e ad amori eterni, sempre in bilico fra culto del passato e ansia del futuro, è raro che riesca a trovarsi in sintonia con il presente.

Ci sembra questa una analisi più sul versante psicologico che non storico : Foscolo fu invece in toto uomo del suo tempo, forse è un tempo che non piace agli storici. Basterebbe vedere tutta la produzione saggistica del Foscolo legata al magistero pavese, dove nutre l’ambizione di porsi come guida spirituale per le nuove generazioni, con una critica militante sempre pronta a misurarsi sul terreno della storia intesa come patrimonio unificante. Foscolo invoca l’amore per il vero, insiste sugli effetti della parola, e sottolinea la inscindibilità fra parola e pensiero, traendone una appassionata polemica contro i retori e i falsi filosofi, che questa unità hanno tradito. Non dimentica le virtù consolatorie della letteratura, definisce i compiti del letterato e la sua missione di fronte al potere, e da qui la richiesta non solo ideologica ma anche economica.

Interessante è la orazione finale sulle origini e i limiti della giustizia, dove il Foscolo fa appello alla esperienza alla cultura alla storia per poi constatare inevitabilmente che la giustizia deriva dalla forza, smontando sia le teorie dei giusnaturalisti, quanto la fiducia universalistica dell’illuminismo, affermando che la sola speranza stà nella organizzazione civile delle nazioni, stà cioè nelle società particolari dei popoli non già nella universalità del genere umano.

 

Da Ugo Foscolo storia e poesia di Walter Binni “

 

Giudizi e reazioni dei contemporanei

L’impressione che fece l’originalissima e vistosa personalità del Foscolo sui contemporanei, è ben riassunto nel ritratto squisito ed illuminante che ne fecela Teotochi Albrizzi:

“ L’animo è caldo, forte disprezzatore della fortuna e della morte. L’ingegno è fervido rapido nutrito di sublimi e forti idee… pietoso generoso riconoscente pare un rozzo selvaggio ai filosofi dei nostri giorni. Libertà e indipendenza sono gli ideali dell’anima sua, si strapperebbe il cuore dal petto, se liberissimi non gli paressero i moti del suo cuore. Animo fervido ma sincero, come lo specchio che non illude e non inganna.

Foscolo suscitò simpatia e ammirazione tanto quanto odio e livore nei suoi contemporanei.

Sono polemiche e contrapposizioni che rispecchiano la storia delle correnti contrastanti del nostro risorgimento. La polemica prese il via dal libro di Giuseppe Pecchio Vita di Ugo Foscolo, Lugano 1830. Il libro per il suo contenuto di agio ironico saggistico, suscita le ire dei romantici mazziniani, i quali indirizzarono coscientemente la critica verso una precisa glorificazione del Foscolo in funzione di un mito da offrire alla gioventù italiana nella sua lotta e nella sua rigenerazione.

In diversa posizione il Rosmini che descrive la poesia del Foscolo come un canto pagano che non potrà che lasciare un suono lusinghiero di breve dolcezza, mentre la nuova poesia cristiana manzoniana, accompagnerà l’umanità che avanza.

Il confronto fra Manzoni e Foscolo si tramuta in Rosmini in un attacco feroce al Foscolo, che viene definito come uomo contrario al suo secolo e al suo spiritualismo, tanto da escluderlo dalla viva storia dell’800. Rosmini contrappone alla speranza ingannevole dei sepolcri, la salvezza della verità cristiana. Ancora più feroce fù Niccolo Tomaseo che stroncò sia l’uomo che il poeta.

Prevalse comunque la interpretazione di origine Mazziniana. I sepolcri sono ormai diventati il capolavoro indiscusso del risorgimento e l’Ortis una lettura essenziale per i giovani patrioti. Foscolo è per essi il profetico poeta della patria risorta .

Da queste due posizioni si differenzia il De Sanctis che segnerà una svolta. Egli nel 1871 dieci anni dopo la unificazione d’Italia fondò la storia della letteratura italiana, questo era un progetto di politica culturale, egli voleva tracciare la storia civile e morale degli italiani, ed è in questo cammino che si incontrò con il Foscolo, riconducendolo dentro il suo tempo senza negarne l’immagine patriottica ma senza neanche enfatizzarla

L’inizio del 900 segna un nuovo clima culturale, caratterizzato dall’interesse degli idealisti per il pensiero dei poeti. La prima interpretazione novecentesca del Foscolo la dobbiamo a Eugenio Donadoni, egli partiva dal presupposto che l’anima è ciò che più interessa le anime.La sua fu quindi una fondamentale ricerca del mondo interiore del poeta.

Anche Benedetto Croce, parte da una profonda e aperta simpatia per Foscolo, anche se i suoi contributi non furono innovativi,egli cercò di separare la vita pratica dell’autore dalla sua poesia .

Gli anni più bui per il Foscolo sono indubbiamente quelli fra il 1960/1980, gli anni in cui si affermò l’intellighenzia di sinistra.

Il primo duro attacco in questo senso è stato quello di Giovanni Comisso, i suoi articoli sono apparsi sul giornale “Mondo” dove denunciava la goffaggine delle situazione e dei personaggi dell’Ortis.

Nel 1967 Don Lorenzo Milani, nella sua lettera ad una professoressa attaccava il Foscolo per la sua lingua morta e bugiarda.

Emergeva , con i famosi giudizi gramsciani l’esplosione di quella rivoluzione culturale che fù il ’68, e che rifiutava tutto ciò che rappresentava il passato, sostenuta da una certa ortodossia comunista rozzamente sociologia, che vedeva nel Foscolo solo la componente retorica e monumentale, offrendo quindi un appoggio ai rinnovati attacchi dei cattolici che hanno sempre aborrito il laicissimo Foscolo.

In una delle pagine dei quaderni dal carcere di Gramsci troviamo una approfondita riflessione sulla letteratura italiana che secondo Lui non è mai stata nazional-popolare. Foscolo afferma Gramsci si trova in buona compagnia, per esempio con Manzoni, rappresentante di una sorta di paternalismo nei confronti degli umili.

Un ulteriore attacco al Foscolo provenne più tardi da Moravia, in un suo articolo “Disperati e Passivo” apparso sul corriere della sera del 22.07.1973 dove Jacopo è considerato un disperato passivo e Foscolo il perfetto letterato borghese retorico e patriotico perché frustrato socialmente, mentre sull’espresso si scrive leggetelo solo in articolo (m)ortis

 

I SEPOLCRI

Il carme fu pubblicato dal Bettoni di Brescia nell’Aprile del 1807, l’ideazione e la prima stesura risalgono all’anno precedente. Molti i motivi confluiti nell’ispirazione, quello contingente della reazione all’editto di Saint Cloud, circa il nuovo regolamento delle sepolture vietate nei centri abitati, e in senso più lato, il fortificarsi delle convinzioni relative al nulla eterno dopo la morte. C’è anche l’avversione, in misura crescente,al regime napoleonico dopo il crollo definitivo delle speranze della carriera militare e a seguito dell’infelice esperienza francese e per l’ormai chiara inimicizia del Murat: di contro la generosa illusione che l’esempio dei grandi antichi possa valere a far ritrovare l’Italia la perduta magnanimità di spiriti e di azioni.

Possiamo ben capire e immaginare quanto il tema potesse appassionare Ugo, nella sua posizione dualistica: da un lato la consapevolezza della caducità dell’uomo della sua angoscia di essere e del vivere, a cui non dava certo consolazione il suo essere ateo, dall’altro la sua convinzione di quella immortalità terrena che si realizza come storia.

I sepolcri secondo Pagliaro, sono nati per dare una risposta precisa ad una domanda: “qual è il valore per cui l’assolutezza della morte si relativizza, consentendo alla fisicità una sopravvivenza terrena”

Il fatto che il carme si apra con una interrogazione è la prova che il carme intende dare una risposta ad un problema che urge la coscienza:
all’ombra dei cipressi e dentro l’urne

Confortate di pianto, è forse il sonno

Della morte men duro?

L’accento è posto sulla parola duro, è la stessa durezza della pietra sotto cui giace il corpo, ed è tanto dura da essere insensibile sia al conforto della natura, sia a quello dei superstiti. L’interrogativo non è nel confortate di pianto, la tomba è in effetti oggetto di omaggio e di cura, ma l’interrogativo è nella soggettività seguente, che cosa tutto ciò può valere per noi?, e quasi restringe il problema a se stesso:

ove più il sole per me non fecondi

e continua descrivendo la vita, il rigoglio della terra fecondata, le proprie speranze le gioie delle amicizie, l’abbandonarsi lieto al richiamo della poesia e dell’amore. E’ la vita in se, e allora che conforto ( qual fio ristoro) potrà dare alla sua perdita la pietra che dà il nome ad un pugno di ossa per distinguere ciò che non è più?

La domanda iniziale si propone palesemente di chiedere conto del valore, anzi della fondatezza di una realtà tipicamente umana e quasi istituzionale.

La risposta inizia dal verso 16

Vero è ben Pindemonte! Anche la Speme,

ultima Dea fugge i sepolcri

vero è ben, non è una qualsiasi forma di transazione, è l’inizio di un rispondere categorico
e con la risposta il poeta, mette le cose a posto dal punto di vista della verità assoluta: la tomba una volta che ci si mette fuori dalla concezione cristiana della resurrezione non ha alcuna giustificazione, ed è questa la verità del Foscolo: la tomba considerata in rapporto a chi muore, e al suo destino successivo non rappresenta alcun beneficio, non significa nulla, il porre una speranza in essa non ha fondamento. Nessuna speranza può affacciarsi a dare valore alla tomba, se non quella cristiana della resurrezione

Se rapportiamo le tombe alla realtà della natura e al suo divenire, il loro valore è vano ed illusorio, ma se le rapportiamo all’ambito umano e alla sua storia, il loro valore è produttivo di realtà positive

V 23-50   Dal punto di vista soggettivo invece vale il fatto che ognuno mediante la tomba ha l’illusione di sopravvivere come persona nell’affetto dei suoi cari, partecipi di una illusione analoga, e solo chi sa di non avere affetti dietro di se, non ha motivo di desiderare una tomba

V 51-90 la nuova legge è da condannare, perché livellando le tombe, ferisce la coscienza collettiva, e il sentimento del poeta è particolarmente offeso perché è stata negata una tomba al Parini

V 91-103 considerata storicamente la tomba ha un valore di coscienza civile dai tempi in cui l’uomo uscì dallo stato ferino, dandosi ordinamenti civili e religiosi e insieme impararono l’umanità

V.104-136 Foscolo condanna la consuetudine di seppellire i morti nelle Chiese, mentre è suggestiva l’immagine dei cimiteri come luogo d’incontro fra i morti e i vivi

V 137-150 ma dove manchi una coscienza civile e la gente non apprezza altro se non le forme materiali del vivere, le tombe non hanno senso e sono solo un motivo di fastidio.

V 151-185 I sepolcri sono santuari in cui si perpetua la memoria dei grandi a egregie cose il forte animo accendono, l’urne dei forti, o Pindemonte e bella e santa fanno al peregrin la terra. L’urne dei forti, i sepolcri dei grandi uomini, che stimolano ad azioni straordinarie gli animi forti e soltanto quelli.

V186-212 e se c’è un luogo dove gli spiriti audaci attingono incitamento alla gloria è proprio Santa Croce e da lì si dovranno trarre gli auspici per la riscossa della patria: Lì è la tomba dell’Alfieri, e la sua tomba suscita quel sentimento di amore della patria che è uguale a quello che suscita nei greci le tombe dei caduti a maratona

V 213- 225 La tomba può essere anche incentivo perché all’estinto sia resa postuma giustizia dei torti ricevuti in vita e…

 

E tu onore di pianti, Ettore,(duce ) avrai

Ove fia santo e lacrimato il sangue

Per la Patria versato, e finchè il sole

Risplenderà sulle sciagure umane.

 

E tu onore di pianti Ettore avrai

ove fia santo e lacrimato il sangue

per la Patria versato, e finchè il sole

risplenderà sulle sciagure umane

 

Da “i Sepolcri” di Ugo Foscolo

 

 

Penso a coloro ai quali sarà

negato per anni di amare e soffrire

per la Patria e vorrei che essi si sentissero

non solo testimoni di una disfatta, ma

anche alfieri della rivincita

 

Da “ testamento Politico “ di Benito Mussolini

 

  

dedicato a Isabella

Questo sito è dedicato alla memoria di Isabella Luconi, nata a Messina il 20 Agosto 1957, morta a Cagliari il 15 Maggio 2012. 

 

Isabella, trasferitasi nel 1972 a Cagliari da Ancona, città di origine della sua famiglia, si è diplomata al liceo Scientifico Pacinotti di Cagliari.

 

Ha conseguito il diploma di Assistente Sociale nel 1990 a Cagliari, la laurea in Scienze Sociali a Trieste nel 2004, e la laurea in Scienze Politiche a Cagliari nel 2011.

 

Ha partecipato a alcuni concorsi letterari, in Sardegna e nella Penisola, classificandosi sempre nelle prime posizioni.

 

Impegnata politicamente dall’età di 14 anni, ha militato nel Fronte della Gioventù, nel M.S.I.-D.N. e in Alleanza Nazionale.

 

E’ stata Assistente Sociale nel Comune di Assemini dal 1992.

Sposata nel 1979 con Roberto Aledda, hanno avuto un figlio, Marco.

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© Roberto Aledda robertoaledda@tiscali.it